mercoledì 23 settembre 2009

Aurora - Periodico degli emigrati per l'Unità Comunista

Aurora - Periodico degli emigrati per l'Unità Comunista

visitate questo sito
www.aurorainrete.org

venerdì 6 giugno 2008

nota informativa sul sito

In ottemperanza alla nuova Legge sull'editoria italiana, segnaliamo che questo sito non è un periodico, non ha cadenze di aggiornamento preordinate e prevedibili e non è una testata giornalistica.
Tutti i contenuti sono a responsabilità e copyright dei siti linkati o personale di chi li ha scritti.
Non pubblichiamo contenuti anonimi.
Eventuali dati sensibili sono tutelati in ottemperanza alla Legge 675/96 e dal D.P.R. 318/99.
Le opinioni contenute negli articoli pubblicati sono di esclusiva responsabilità degli autori e il loro inserimento nel sito non comporta necessariamente la completa condivisione dei contenuti da parte della redazione.
LA REDAZIONE

venerdì 30 maggio 2008

ACCOGLIENZA E DIRITTI SOCIALI CONTRO L'INTOLLERANZA E IL RAZZISMO

31 maggio ore 16,30 - Piazza Nettuno - Bologna
Presidio Antirazzista

Il Governo della destra sta portando a compimento un percorso legislativoxenofobo e poliziesco in materia di immigrazione iniziato con laBossi-Fini.Il Decreto Maroni con la richiesta di revisione in senso restrittivo delTrattato di Schengen, con la militarizzazione dei nostri mari per impediregli sbarchi, prospetta un modello di società e di paese fortezza in cui sipuò migrare solo come forza lavoro da sfruttare e non come umanità in cercadi un futuro migliore.L'introduzione del reato, con arresto, per immigrazione clandestina nonfarà altro che aumentare le distanze e l'odio tra chi oggi da immigrato hasuperato le difficoltà e chi è da cacciare e tra questi e gli autoctoni.Il risultato non sarà quello di garantire città più sicure, ma la crescitadel disagio sociale, sarà riempire i penitenziari e i Cpt, intasare le auledi tribunale.E' un modo subdolo di rispondere al bisogno di sicurezza espresso daicittadini perchè s'individua il capro espiatorio, il più debole o ildiverso e attraverso una campagna massmediatica ben orchestrata, lo siperseguita e si caccia.Colpisce nelle parole delle madri di Napoli l'odio verso altre madri ealtri figli, così come l'aggressione squadrista verso cittadini delBangladesh a Roma, a caccia dell'immigrato ladro e delinquente. Undisastro culturale prima che sociale perchè domani quando quando tutti iRom e gli immigrati saranno stati cacciati si accorgeranno di trovarsi adaffrontare le stesse difficoltà di vita di oggi.Quello che sta accadendo verso i Rom è però qualcosa di molto più grave.S'individua un intero popolo come colpevole dell'insicurezza collettiva, losi denigra, poi gli si da la caccia.Iniziò così la persecuzione degli ebrei in Germania prima e in Italia poicon le leggi razziali del 1938.Si parla di umanità inutile, incapace di integrarsi nella nostra presunta"civiltà", un'umanità da cancellare.In violazione dei diritti umani e delle norme internazionali, l'Italiaripiomba di colpo negli anni più cupi della sua storia: una deriva fascistae razzista che non avremmo mai più voluto rivivere.E' una sconfitta umana prima che culturale e politica che deve farriflettere anche chi a sinistra con decreti d'urgenza ha contribuito adaprire questa ferita sociale.Ora tocca ai Rom e ai migranti, domani al diverso di turno. Non possiamoassistere in silenzio a questo disastro!Chiediamo all'insieme delle forze sociali e politiche democratiche diquesta città di dare un segno tangibile di opposizione a questa situazionedi intolleranza e di costruire insieme forme di mobilitazione.Estendere i diritti sociali, civili e politici a chi vive in Europa,regolarizzare coloro che vivono già in Italia, lotta alla povertà e non aipoveri sono condizioni imprescindibili per tutti coloro che aspirano a unmodello di società civile, pacifica, accogliente e interculturale.

Prime adesioni:OsservAzione Onlus Centro di Ricerca Azione contro la Discriminazione diRom e Sinti, Sucar Drom, Annassim Donne native e migranti delle due spondedel Mediterraneo, A,l.j. Onlus, Forum Metropolitano delle Associazioni diImmigrati di Bologna e Provincia, Associazione Siamo Tutti Cittadini, AMISSAssociazione Mediatrici Interculturali Sociali e Sanitarie, ConfederazioneCobas Bologna, Partito della Rifondazione Comunista Bologna, SergioBontempelli Associazione Africa Insieme Pisa, Ernesto Rossi AssociazioneAven Amentza Unione di Rom e Sinti Milano, Daniela Iotti AssociazioneDiversa/Mente, Daniela Rocca interprete, Roberto Di Marco scrittore,Alessandra Lazzari traduttrice, Michelina Vultaggio pensionata, Eva Rizzinricercatrice, Nicoletta Ciampani impiegata, Daniele Barbieri giornalista,Cinzia Monari Dipendente Comune di Bologna, Gualtiero Caserta Assessoreall'Immigrazione San Pietro in Casale, Monica Sabattini Assessoreall'Immigrazione Castel Maggiore, Tiziana Fava Assessore Pari OpportunitàGalliera, Marco Pondrelli Assessore all'Immigrazione San Lazzaro di Savena,Laura Veronesi Assessore all'Immigrazione Zola Predosa, Massimo ReggianiCapogruppo ViviCalderara, Giuseppina Tedde Assessore al PatrimonioProvincia di Bologna, Roberto Sconciaforni Capogruppo Prc Comune diBologna, Nando Mainardi Segretario Prc Emilia Romagna, Stefano Galieniresponsabile dipartimento nazionale immigrazione Prc, Piero BonfiglioliCoordinatore zona montagna Cinque Valli Prc, Circolo Prc "Marcos" Terred'Acqua", Nino Pizzimenti Coordinatore regionale Inail Emilia Romagna

sabato 24 maggio 2008

Appello a Rifondazione: «Ricominciamo da noi»

Diliberto al Gazzettino di Venezia
23 maggio 2008

Ripartire dall`unità di due partiti «che dieci anni fa erano insieme»: Rifondazione comunista e i Comunisti italiani. E la proposta del segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, dopo la dura sconfitta elettorale che ha dissolto la Sinistra Arcobaleno. Se ne parlerà questa sera a Vicenza nei Chiostri di Santa Corona, che ospiteranno la manifestazione pubblica «Comuniste e comunisti, cominciamo da noi» con Diliberto e Gianluigi Pegolo, della direzione nazionale del Prc, e l`adesione dell`astrofisica Margherita Hack.
Segretario Diliberto, si va verso la riunificazione dei comunisti?
«L`esperimento della Sinistra arcobaleno è fallito, bocciato dagli elettori. Noi raccogliamo l`appello formulato dopo le elezioni da intellettuali e quadri operai che ci chiedevano proprio questo: la riunificazione dei comunisti. Ciò non esclude rapporti unitari anche con altri. Il fatto è che non vedo molti "altri" in circolazione».
Nel Prc c`è chi preme per riprendere il dialogo con il Pd...
«Il problema è che i comunisti, tutti i comunisti, sono stati esclusi dal Parlamento e che la responsabilità della debacle grava in larga parte sul Pd e sul suo attuale gruppo dirigente. Mi pare difficile poter riprendere il discorso con questi interlocutori. So bene che c`è una dialettica all`interno del Pd e non sono insensibile ai richiami di chi, nel Pd, vorrebbe ricominciare a parlare con noi. Ma non mi sembra il caso di presentarsi da Veltroni con il cappello in mano».
Non teme un accordo tra Pdl e Pd per mettere uno sbarramento al 5 per cento nella legge elettorale per le europee?
«Fino a due anni fa non soltanto la sinistra radicale unita ma anche i due partiti comunisti da soli, con tre milioni di voti, avrebbero superato agevolmente questa soglia. A maggior ragione, ora, urge un processo di riunificazione che potrebbe suscitare di nuovo entusiasmo e passione tra chi è rimasto deluso. In ogni caso, facciano attenzione Pdl e Pd alle soglie di sbarramento, ci pensino bene prima di trasformare una sinistra democratica già extraparlamentare in sinistra extraistituzionale».
Perché avete scelto Vicenza, dove i comunisti a occhio e croce non sono moltissimi?
«È un luogo simbolico, per l`allargamento della base americana. Ci ricorda uno dei più gravi errori del governo Prodi: non aver ripensato a quel sì, dopo la grande manifestazione contro il raddoppio».

Dai promotori dell'appello "Comunisti Uniti"

Care compagne e cari compagni,

Innanzitutto vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno sottoscritto l’appello e che stanno promuovendo ed organizzando iniziative di presentazione su tutto il territorio nazionale. Non era affatto scontato. Ed anche il fatto che i temi posti da questo appello stiano attraversando il dibattito dei partiti della sinistra (a partire proprio da Rifondazione Comunista e dal Pdci), ci dice che l’obiettivo è stato colto. Il fatto poi che tantissime adesioni sono di giovanissimi o compagne e compagni non iscritte a nessun partito, ci dice di quanto forte sia oggi il bisogno di una “casa comune dei comunisti”, anche a fronte della necessità di costruire una forte opposizione alle politiche antisociali che il governo Berlusconi si appresta a fare.

Tante sono le e-mail giunte alla nostra casella di posta e tanti i suggerimenti, i commenti e gli interventi postati sul nostro blog. Ora si tratta di dare corpo ad una organizzazione e presenza strutturata sul territorio. Sarebbe utile pertanto, come tante/i di voi hanno infatti suggerito, creare dei comitati di sostegno dell’appello Comunisti Uniti, su tutto il territorio, a partire dal livello regionale ed organizzare quindi presentazioni, conferenze stampa, assemblee ed iniziative.

Nei prossimi giorni verranno create mailing list regionali dei sottoscrittori dell’appello, dove sarà quindi possibile conoscersi e tenersi in contatto (invitiamo quindi anche tutte/i coloro che non hanno sottoscritto, ma che scrivono sul blog ad iscriversi).

Saranno organizzate assemblee di presentazione dell’appello (vi informeremo di volta in volta), che saranno una utile occasione per costituire i comitati di sostegno all’Appello.

Affinché però tutto questo possa realizzarsi, è necessario che arrivino nuove adesioni all’appello, affinché continui a crescere numericamente e qualitativamente. Perché ciò sia possibile, è necessario che ciascuno di voi raccolga, entro il 30 maggio, almeno 10 firme. È un impegno minimo ma denso di significato. Questo appello, affinché sia conosciuto, ha bisogno di essere popolarizzato, fatto conoscere. È un lavoro paziente ma necessario. Inviate l’appello a tutti i vostri contatti ed amici, chiedetegli di sottoscriverlo, fatelo girare nelle vostre mailing list o inviatelo a casa dei compagni che conoscete. Questa importantissima iniziativa ha bisogno del contributo di tutte/i: cominciamo da noi!

Buon lavoro a tutte e tutti

I promotori dell’appello

www.comunistiuniti.it

RICOSTRUIRE LE FORZE COMUNISTE PER SOLLECITARE NUOVE PASSIONI

di Fosco Giannini
su Il Manifesto del 21/05/2008

Lo scorso 17 aprile il manifesto pubblica un Appello di cento grandi personalità del mondo operaio e intellettuale. Esso indica, tra le cause della nostra drammatica sconfitta, la delusione provocata dal governo Prodi e il fatto che, attraverso la proposta dell’Arcobaleno, siano stati sottratti, al nostro elettorato, gli storici punti di riferimento comunisti e di sinistra. A fronte del disastro, i cento dell’Appello avanzano una proposta: che il Prc e il Pdci tornino ad unirsi in un solo partito comunista, un partito di lotta che si proponga come cuore dell’opposizione a Berlusconi e motore di una nuova unità a sinistra, rispettosa delle varie autonomie (comunisti e forze di sinistra) e ben lontana dalla fallimentare e (letteralmente) immotivata precipitazione organizzativistica dell’Arcobaleno.A tale proposta l’intero gruppo dirigente del Prc (da Giordano a Ferrero) risponde - stizzito - di no. Il gruppo dirigente del Pdci risponde di si, chiarendo che il proprio partito è disponibile ad un processo di riunificazione, per tornare alle origini della rifondazione comunista e offrire un punto di riferimento alla vasta diaspora comunista italiana.Chi scrive è d’accordo con le tesi dell’Appello e rimarca il fatto che il no di Giordano e Ferrero sia stato assunto da diversi interlocutori (non certo dai comunisti “di base”) come scontato e non sia stato per nulla indagato.In verità il no alla proposta di riunificare i due partiti comunisti italiani non è stato adeguatamente motivato e l’unico barlume argomentativo - che ha unito Giordano e Ferrero - è stato quello (molto vago) secondo il quale il Prc avrebbe da tempo assunto un’ “innovazione” alla quale il Pdci sarebbe estraneo.Prendiamo le questioni di petto: un processo di riunificazione dei due partiti comunisti darebbe, se ben condotto, una nuova passione al popolo comunista, oggi disorientato e spinto all’autoliquidazione. Rispetto ad un obiettivo così alto dovremmo davvero ritenere un impedimento le innovazioni del Prc?Occorre, da questo punto di vista, soffermarsi su tali innovazioni. Sarebbe un’innovazione impedente la cancellazione formale, dal corredo teorico del Prc, della categoria di imperialismo? Crediamo di no, per il semplice motivo che essa è stata smentita dai fatti, nel senso che l’imperialismo è oggi più vivo che mai e che anche i dirigenti del Prc - di fronte alla durezza delle guerre imperialiste - tendono a rimuovere la loro precedente tesi.Sarebbe un’innovazione impedente la fragile teorizzazione bertinottiana secondo la quale il ruolo di intellettuale collettivo non dovrebbe essere più assegnato al partito comunista, alla sinistra, ma direttamente allo spontaneismo sociale? Non crediamo: è stato lo stesso Alfonso Gianni, testa pensante del bertinottismo, ad affermare, dopo la sconfitta elettorale e il voto operaio passato alla Lega, che il senso delle masse si è perso e che è ormai tempo che siano i comunisti e la sinistra a ricostruire un senso politico e di massa.Sarebbe un’innovazione impedente l’ormai ingiallita teorizzazione bertinottiana secondo la quale la rottura da parte del Prc con il primo governo Prodi doveva essere una rottura “fondante” della stessa rifondazione comunista? Il nefasto governismo dell’ultimo Prc ha smentito clamorosamente tale teorizzazione e ha posto il problema, per tutti i comunisti, di uscire dal rischio del cretinismo parlamentare e tornare alla testa delle lotte.Sarebbe un’innovazione impedente l’assunzione da parte del Prc della categoria della non violenza? Lo sarebbe se essa si trasformasse in una rinuncia al conflitto e alla trasformazione sociale. Poiché nessuno, nel Prc, interpreta la non violenza in questo senso, la questione appare di lana caprina, poiché non vi è un comunista, nei due partiti italiani, che pensa alla lotta armata e alla presa, lunedì prossimo, del Palazzo d’Inverno.Sarebbe un’innovazione impedente l’affermazione (Bertinotti-Gianni) di qualche tempo fa, secondo la quale “ i grandi pensatori e i rivoluzionari del ’900 sarebbero tutti morti e non solo fisicamente ”? Non crediamo, poiché la sua estemporaneità non le ha permesso di ucciderli davvero, anche nel senso comune dei dirigenti e della base Prc.Qual è il punto vero, dunque, rispetto alla proposta avanzata dai cento dell’Appello, assunta dal gruppo dirigente del Pdci e volta al rilancio - attraverso la riunificazione e la rimessa in campo di una forza di opposizione sociale - di un partito comunista, dai caratteri di massa, in Italia?Ci sembra chiaro: il punto vero è se si vuole o no ricostruire il partito comunista. Se non si vuol farlo lo si dica chiaramente, senza cercare astruse motivazioni. A noi sembra che il rilancio di una forza comunista, anticapitalista, non sia una questione ideologica ma un’esigenza sociale (la guerra segna il nostro tempo e il trasferimento di quote di salario verso il profitto è il più imponente da 50 anni a questa parte). L’esigenza dell’unità dei comunisti trova oggi, per realizzarsi, un terreno favorevole. Chi si sottrae a tale compito vuol dire che pensa a costruire qualcosa d’altro, a rianimare il cadavere dell’Arcobaleno. E se ne assumerà la responsabilità.

venerdì 16 maggio 2008

Letture di Gramsci

Proponiamo la lettura delle seguenti note scritte da Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere, le quali ci appaiono piuttosto significative anche per il momento presente. Nè casuale deve essere - non conosciamo questo aspetto filologico - il loro procedere congiuntamente nella riflessione dell'autore.
[nota 1822 (seconda stesura), Q.16 (1933-1934) – prima stesura: nota 1301, Q.9 (1932)]


Il male minore o il meno peggio (da appaiare con l'altra formula scriteriata del "tanto peggio tanto meglio"). Si potrebbe trattare in forma di apologo (ricordare il detto popolare che "peggio non è mai morto"). Il concetto di "male minore" o di "meno peggio" è dei più relativi. Un male è sempre minore di uno susseguente maggiore e un pericolo è sempre minore di un altro susseguente possibile maggiore. Ogni male diventa minore in confronto di un altro che si prospetta maggiore e così all'infinito. La formula del male minore, del meno peggio, non è altro dunque che la forma che assume il processo di adattamento a un movimento storicamente regressivo, movimento di cui una forza audacemente efficiente guida lo svolgimento, mentre le forze antagonistiche (o meglio i capi di esse) sono decise a capitolare progressivamente, a piccole tappe e non di un solo colpo (ciò che avrebbe ben altro significato, per l'effetto psicologico condensato, e potrebbe far nascere una forza concorrente attiva a quella che passivamente si adatta alla "fatalità", o rafforzarla se già esiste). Poiché è giusto il principio metodico che i paesi più avanzati (nel movimento progressivo o regressivo) sono l'immagine anticipata degli altri paesi dove lo stesso svolgimento è agli inizi, la comparazione è corretta in questo campo, per ciò che può servire (servirà però sempre dal punto di vista educativo).


[nota 1823 (seconda stesura), Q.16 (1933-1934) – prima stesura: nota 1300, Q.9 (1932)]


Il movimento e il fine. E' possibile mantenere vivo ed efficiente un movimento senza la prospettiva di fini immediati e mediati? L'affermazione del Bernstein secondo cui il movimento è tutto e il fine è nulla, sotto l'apparenza di una interpretazione "ortodossa" della dialettica, nasconde una concezione meccanicistica della vita e del movimento storico: le forze umane sono considerate come passive e non consapevoli, come un elemento non dissimile dalle cose materiali, e il concetto di evoluzione volgare, nel senso naturalistico, viene sostituito al concetto di svolgimento e di sviluppo. Ciò è tanto più interessante da notare in quanto il Bernstein ha preso le sue armi nell'arsenale del revisionismo idealistico (dimenticando le glosse su Feuerbach) che avrebbe dovuto portarlo invece a valutare l'intervento degli uomini (attivi, e quindi perseguenti certi fini immediati e mediati) come decisivo nello svolgimento storico (s'intende, nelle condizioni date). Ma se si analizza più a fondo, si vede che nel Bernstein e nei suoi seguaci, l'intervento umano non è escluso del tutto, almeno implicitamente (ciò che sarebbe troppo scemo) ma è ammesso solo in modo unilaterale, perché è ammesso come "tesi", ma è escluso come "antitesi"; esso, ritenuto efficiente come tesi, ossia nel momento della resistenza e della conservazione, è rigettato come antitesi, ossia come iniziativa e spinta progressiva antagonista. Possono esistere "fini" per la resistenza e la conservazione (le stesse "resistenza e conservazione" sono fini che domandano una organizzazione speciale civile 35 e militare, il controllo attivo dell'avversario, l'intervento tempestivo per impedire che l'avversario si rafforzi troppo, ecc.), non per il progresso e l'iniziativa innovatrice. Non si tratta di altro che di una sofistica teorizzazione della passività, di un modo "astuto" (nel senso delle "astuzie della provvidenza" vichiane) con cui la "tesi" interviene per debilitare l'"antitesi", poiché proprio l'antitesi (che presuppone il risveglio di forze latenti e addormentate da spronare arditamente) ha bisogno di prospettarsi dei fini, immediati e mediati, per rafforzare il suo movimento superatore. Senza la prospettiva di fini concreti, non può esistere movimento del tutto.

lunedì 12 maggio 2008

Presentazione del libro: PERCHÈ ANCORA COMUNISTI

VENERDI 23 MAGGIO 2008 ORE 20.00
presso BAR PURA VIDA
Via S. Croce, 3815 - S. MARIA NUOVA (Bertinoro)


Sarà presente l’autore
MARCO RIZZO - EUROPARLAMENTARE PdCI

Presiede PINO CRACAS- Movimento per l’unità dei comunisti

Intervengono
FOSCO GIANNINI - DIRETTORE DE “L’ERNESTO”
GIANNI FAGNOLI - direzione PDCI FORLI
PIERANGELO LAZZARI - SEGRETARIO PdCI BERTINORO

Direttivo della Cgil - 7 maggio 2008

Documento presentato da Giorgio Cremaschi e Dino Greco

La scelta di far precipitare sulla Cgil un documento rigido e immodificabile, se non al tavolo delle trattative con la controparte, chiedendo nella sostanza l’ennesimo voto di fiducia al segretario generale su di esso, è un atto di chiusura autoritaria che più di ogni altra cosa rappresenta la crisi di questa organizzazione.La Cgil non ha mai discusso di contrattazione, di contratti nazionali, di contratti aziendali, di modello contrattuale. Questo direttivo non ha mai fatto una discussione che davvero affrontasse il mestiere del sindacato in questi anni. All’improvviso si presenta l’organizzazione di fronte al fatto compiuto. Il documento delle segreterie unitarie è contemporaneamente ambiguo e pericoloso, si apre il negoziato nella condizione peggiore, in un quadro confuso, privo di riferimenti contrattuali, politici e culturali, sotto l’attacco della Confindustria. Con il rischio concreto che si concluda solo con un accordo a perdere.Il difetto di partenza che ha portato a questo passaggio profondamente negativo, è che non si è mai voluto analizzare l’andamento reale della contrattazione, fare un bilancio della concertazione. Bilancio che è profondamente negativo. Sono stati i grandi mezzi di comunicazione di massa a dirci che in Italia c’era una catastrofe salariale e che dovevamo fare qualcosa. Senonché quello che si fa va nella direzione opposta dell’aumento del salario e della solidarietà sociale.La catastrofe dei salari viene da lontano, dall’eliminazione traumatica della scala mobile, che serviva proprio a garantire una quota di salario certo ai più deboli, a tutte e a tutti coloro che non riuscivano a rinnovare in tempo utile contratti nazionali o aziendali. In aggiunta, con l’accordo del ’93, si è poi posto un tetto agli aumenti dei contratti nazionali, mettendoli così sempre un passo indietro rispetto alla tenuta del potere d’acquisto dei lavoratori. E’ bene ricordare che i due accordi separati del contratto dei metalmeccanici ci sono stati proprio di fronte al tentativo della Fiom di superare i tetti del ’93 e di rivendicare nel contratto nazionale una quota di produttività.Ora, invece che correggere gli aspetti negativi del 23 luglio, con il documento Cgil-Cisl-Uil li si accentua. I soldi non hanno tenuto il passo con l’inflazione e con i profitti non perché c’era troppo contratto nazionale, ma perché ce ne era troppo poco. Perché il contratto nazionale non aveva più in basso il sostegno della scala mobile, mentre subiva in alto la costrizione della gabbia della concertazione. Ora, invece che togliere la gabbia si vuol togliere il contratto nazionale, o almeno ridimensionarlo. Si dirà che nessuno vuole cancellare il contratto nazionale, esattamente come così si diceva quando è cominciato il processo di smantellamento della scala mobile. Purtroppo la logica è la stessa di allora.Se ci sediamo al tavolo accettando un’impostazione che dice che per guadagnare di più bisogna dare più produttività e questa la si deve recuperare in azienda, è inevitabile che si finisca per ridimensionare il già tenue ruolo del contratto nazionale a favore non della contrattazione aziendale, ma del salario individuale. Se poi si pensa che la contrattazione territoriale possa aumentare salari e poteri, coprendo i buchi vecchi e nuovi del contratto nazionale, allora le esperienze del contratto dei lavoratori agricoli e degli artigiani ci dicono che è vero esattamente il contrario e che la contrattazione territoriale verrà istituita solo se porterà alle gabbie salariali.Purtroppo c’è una coerenza in queste scelte, che nasce dalle decisioni sbagliate di questi anni. E’ per questo che sarebbe stato necessario confrontarsi tra ipotesi alternative. Che qui sintetizziamo in tre punti:1. la garanzia di un recupero salariale certo per una quota di salario di fronte all’inflazione,2. la liberazione dei contratti nazionali da ogni vincolo, facendo di essi lo strumento fondamentale per l’aumento delle retribuzioni reali, come deciso nel congresso,3. la liberazione della contrattazione aziendale dal vincolo esclusivo del rapporto con la produttività e la redditività, rilanciando davvero il confronto sull’organizzazione del lavoro, la professionalità, la salute e la sicurezza con una diffusa campagna di contrattazione articolata.La Cgil doveva compiere queste altre scelte se voleva uscire dall’angolo, ma non è questa la cosa più grave. Il fatto più grave è che queste scelte, che sono parte della cultura fondante dell’organizzazione, sono state semplicemente stralciate dal confronto. Si doveva avere il coraggio di presentare due ipotesi, quella del ridimensionamento e quella del rafforzamento del contratto nazionale, alla consultazione degli iscritti e dei lavoratori e magari chiedere proposte, modifiche, aggiunte. Si doveva costruire il confronto sul modello contrattuale esercitando la partecipazione. Avremmo bisogno di più democrazia e più partecipazione anche solo per realizzare gli obiettivi del documento Cgil-Cisl-Uil, e invece operiamo con metodi autoritari.Per queste ragioni non condividiamo il documento qui presentato e riteniamo necessario che nei luoghi di lavoro si svolga una consultazione vera e non un’informazione, con voto segreto già sulla piattaforma e che sia possibile aprire nella consultazione una dialettica fra posizioni diverse.

Cgil-Cisl-Uil, contratti nazionali super-light. Montezemolo, «meglio tardi che mai». Tensione nella Fiom e nella Cgil

da La rinascita della sinistra 08/05/08

Cgil, Cisl e Uil hanno raggiunto l'intesa sulla riforma del modello contrattuale, dando un duro colpo al contratto nazionale fra la soddisfazione di Confindustria e lo strappo con la Fiom…
Riduzione del numero dei contratti (ora 400), introduzione degli accordi triennali, nuovi meccanismi per la definizione della rappresentanza, sono solo alcune delle modifiche introdotte, ma a far più discutere è il potenziamento del doppio livello di contrattazione. Infatti il contratto nazionale rimarrà (certo per i sindacati abolirlo del tutto sarebbe stato ingiustificabile davanti ai lavoratori) ma sarà “light”, estremamente modificabile.
Il livello contrattuale nazionale sarà, si legge nel testo approvato, «di sostegno e valorizzazione del potere d'acquisto per i lavoratori di una categoria», mentre sarà rafforzato il secondo livello di contrattazione, a livello aziendale e territoriale, incentrato sul salario e legato a parametri di produttività, qualità, redditività, efficienza ed efficacia.
Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ha parlato di «un momento storico per il sindacato», «un sindacato più democratico», specifica il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, e Luigi Angeletti, della Uil, annuncia l'apertura del confronto con gli imprenditori.Sì, proprio una svolta storica, ma del tutto negativa per Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom, che parla di un possibile disastro sociale: «L'accordo porta ad abbassare il salario medio e a dare qualcosa di più a chi fatica di più e quindi ad aumentare il tasso di sfruttamento dei lavoratori».
Dopo il via libera da parte delle segreterie unitarie toccherà ai direttivi unitari di Cgil, Cisl e Uil convocati per il 12 maggio approvare l'ipotesi di riforma, ma dentro la Cgil si consuma una profonda lacerazione.
All'arrivo della notizia della sospensione dei dirigenti della Fiom milanese, Rinaldini ha abbandonato il direttivo nazionale della Cgil che si è svolto ieri sera. Il segretario generale della Fiom non ne parla apertamente, ma il tentativo di far fuori dal sindacato la parte più “scomoda”, quella che non condivide la riforma contrattuale e le ultime scelte del sindacato, appare evidente. Giorgio Cremaschi, segretario nazionale dei metalmeccanici, parla di «intimidazione politica, metodi e forme estranee alla cultura dell'organizzazione».
Soddisfatto dell'intesa raggiunta da Cgil, Cisl e Uil invece, e c'era d'aspettarselo, il presidente uscente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo che rimprovera ai sindacati solo la tempistica: «Meglio tardi che mai».
Montezemolo evidenzia tre aspetti positivi nella nuova piattaforma: la durata triennale dei contratti, l'apertura al secondo livello di contrattazione e la possibilità di «pagare di più chi vuole lavorare di più».
Insomma quello che Montezemolo non è riuscito a fare nei 4 anni alla guida di Confindustria lo hanno fatto ora i sindacati. Industriali ed imprenditori ringraziano.