venerdì 30 maggio 2008

ACCOGLIENZA E DIRITTI SOCIALI CONTRO L'INTOLLERANZA E IL RAZZISMO

31 maggio ore 16,30 - Piazza Nettuno - Bologna
Presidio Antirazzista

Il Governo della destra sta portando a compimento un percorso legislativoxenofobo e poliziesco in materia di immigrazione iniziato con laBossi-Fini.Il Decreto Maroni con la richiesta di revisione in senso restrittivo delTrattato di Schengen, con la militarizzazione dei nostri mari per impediregli sbarchi, prospetta un modello di società e di paese fortezza in cui sipuò migrare solo come forza lavoro da sfruttare e non come umanità in cercadi un futuro migliore.L'introduzione del reato, con arresto, per immigrazione clandestina nonfarà altro che aumentare le distanze e l'odio tra chi oggi da immigrato hasuperato le difficoltà e chi è da cacciare e tra questi e gli autoctoni.Il risultato non sarà quello di garantire città più sicure, ma la crescitadel disagio sociale, sarà riempire i penitenziari e i Cpt, intasare le auledi tribunale.E' un modo subdolo di rispondere al bisogno di sicurezza espresso daicittadini perchè s'individua il capro espiatorio, il più debole o ildiverso e attraverso una campagna massmediatica ben orchestrata, lo siperseguita e si caccia.Colpisce nelle parole delle madri di Napoli l'odio verso altre madri ealtri figli, così come l'aggressione squadrista verso cittadini delBangladesh a Roma, a caccia dell'immigrato ladro e delinquente. Undisastro culturale prima che sociale perchè domani quando quando tutti iRom e gli immigrati saranno stati cacciati si accorgeranno di trovarsi adaffrontare le stesse difficoltà di vita di oggi.Quello che sta accadendo verso i Rom è però qualcosa di molto più grave.S'individua un intero popolo come colpevole dell'insicurezza collettiva, losi denigra, poi gli si da la caccia.Iniziò così la persecuzione degli ebrei in Germania prima e in Italia poicon le leggi razziali del 1938.Si parla di umanità inutile, incapace di integrarsi nella nostra presunta"civiltà", un'umanità da cancellare.In violazione dei diritti umani e delle norme internazionali, l'Italiaripiomba di colpo negli anni più cupi della sua storia: una deriva fascistae razzista che non avremmo mai più voluto rivivere.E' una sconfitta umana prima che culturale e politica che deve farriflettere anche chi a sinistra con decreti d'urgenza ha contribuito adaprire questa ferita sociale.Ora tocca ai Rom e ai migranti, domani al diverso di turno. Non possiamoassistere in silenzio a questo disastro!Chiediamo all'insieme delle forze sociali e politiche democratiche diquesta città di dare un segno tangibile di opposizione a questa situazionedi intolleranza e di costruire insieme forme di mobilitazione.Estendere i diritti sociali, civili e politici a chi vive in Europa,regolarizzare coloro che vivono già in Italia, lotta alla povertà e non aipoveri sono condizioni imprescindibili per tutti coloro che aspirano a unmodello di società civile, pacifica, accogliente e interculturale.

Prime adesioni:OsservAzione Onlus Centro di Ricerca Azione contro la Discriminazione diRom e Sinti, Sucar Drom, Annassim Donne native e migranti delle due spondedel Mediterraneo, A,l.j. Onlus, Forum Metropolitano delle Associazioni diImmigrati di Bologna e Provincia, Associazione Siamo Tutti Cittadini, AMISSAssociazione Mediatrici Interculturali Sociali e Sanitarie, ConfederazioneCobas Bologna, Partito della Rifondazione Comunista Bologna, SergioBontempelli Associazione Africa Insieme Pisa, Ernesto Rossi AssociazioneAven Amentza Unione di Rom e Sinti Milano, Daniela Iotti AssociazioneDiversa/Mente, Daniela Rocca interprete, Roberto Di Marco scrittore,Alessandra Lazzari traduttrice, Michelina Vultaggio pensionata, Eva Rizzinricercatrice, Nicoletta Ciampani impiegata, Daniele Barbieri giornalista,Cinzia Monari Dipendente Comune di Bologna, Gualtiero Caserta Assessoreall'Immigrazione San Pietro in Casale, Monica Sabattini Assessoreall'Immigrazione Castel Maggiore, Tiziana Fava Assessore Pari OpportunitàGalliera, Marco Pondrelli Assessore all'Immigrazione San Lazzaro di Savena,Laura Veronesi Assessore all'Immigrazione Zola Predosa, Massimo ReggianiCapogruppo ViviCalderara, Giuseppina Tedde Assessore al PatrimonioProvincia di Bologna, Roberto Sconciaforni Capogruppo Prc Comune diBologna, Nando Mainardi Segretario Prc Emilia Romagna, Stefano Galieniresponsabile dipartimento nazionale immigrazione Prc, Piero BonfiglioliCoordinatore zona montagna Cinque Valli Prc, Circolo Prc "Marcos" Terred'Acqua", Nino Pizzimenti Coordinatore regionale Inail Emilia Romagna

sabato 24 maggio 2008

Appello a Rifondazione: «Ricominciamo da noi»

Diliberto al Gazzettino di Venezia
23 maggio 2008

Ripartire dall`unità di due partiti «che dieci anni fa erano insieme»: Rifondazione comunista e i Comunisti italiani. E la proposta del segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, dopo la dura sconfitta elettorale che ha dissolto la Sinistra Arcobaleno. Se ne parlerà questa sera a Vicenza nei Chiostri di Santa Corona, che ospiteranno la manifestazione pubblica «Comuniste e comunisti, cominciamo da noi» con Diliberto e Gianluigi Pegolo, della direzione nazionale del Prc, e l`adesione dell`astrofisica Margherita Hack.
Segretario Diliberto, si va verso la riunificazione dei comunisti?
«L`esperimento della Sinistra arcobaleno è fallito, bocciato dagli elettori. Noi raccogliamo l`appello formulato dopo le elezioni da intellettuali e quadri operai che ci chiedevano proprio questo: la riunificazione dei comunisti. Ciò non esclude rapporti unitari anche con altri. Il fatto è che non vedo molti "altri" in circolazione».
Nel Prc c`è chi preme per riprendere il dialogo con il Pd...
«Il problema è che i comunisti, tutti i comunisti, sono stati esclusi dal Parlamento e che la responsabilità della debacle grava in larga parte sul Pd e sul suo attuale gruppo dirigente. Mi pare difficile poter riprendere il discorso con questi interlocutori. So bene che c`è una dialettica all`interno del Pd e non sono insensibile ai richiami di chi, nel Pd, vorrebbe ricominciare a parlare con noi. Ma non mi sembra il caso di presentarsi da Veltroni con il cappello in mano».
Non teme un accordo tra Pdl e Pd per mettere uno sbarramento al 5 per cento nella legge elettorale per le europee?
«Fino a due anni fa non soltanto la sinistra radicale unita ma anche i due partiti comunisti da soli, con tre milioni di voti, avrebbero superato agevolmente questa soglia. A maggior ragione, ora, urge un processo di riunificazione che potrebbe suscitare di nuovo entusiasmo e passione tra chi è rimasto deluso. In ogni caso, facciano attenzione Pdl e Pd alle soglie di sbarramento, ci pensino bene prima di trasformare una sinistra democratica già extraparlamentare in sinistra extraistituzionale».
Perché avete scelto Vicenza, dove i comunisti a occhio e croce non sono moltissimi?
«È un luogo simbolico, per l`allargamento della base americana. Ci ricorda uno dei più gravi errori del governo Prodi: non aver ripensato a quel sì, dopo la grande manifestazione contro il raddoppio».

Dai promotori dell'appello "Comunisti Uniti"

Care compagne e cari compagni,

Innanzitutto vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno sottoscritto l’appello e che stanno promuovendo ed organizzando iniziative di presentazione su tutto il territorio nazionale. Non era affatto scontato. Ed anche il fatto che i temi posti da questo appello stiano attraversando il dibattito dei partiti della sinistra (a partire proprio da Rifondazione Comunista e dal Pdci), ci dice che l’obiettivo è stato colto. Il fatto poi che tantissime adesioni sono di giovanissimi o compagne e compagni non iscritte a nessun partito, ci dice di quanto forte sia oggi il bisogno di una “casa comune dei comunisti”, anche a fronte della necessità di costruire una forte opposizione alle politiche antisociali che il governo Berlusconi si appresta a fare.

Tante sono le e-mail giunte alla nostra casella di posta e tanti i suggerimenti, i commenti e gli interventi postati sul nostro blog. Ora si tratta di dare corpo ad una organizzazione e presenza strutturata sul territorio. Sarebbe utile pertanto, come tante/i di voi hanno infatti suggerito, creare dei comitati di sostegno dell’appello Comunisti Uniti, su tutto il territorio, a partire dal livello regionale ed organizzare quindi presentazioni, conferenze stampa, assemblee ed iniziative.

Nei prossimi giorni verranno create mailing list regionali dei sottoscrittori dell’appello, dove sarà quindi possibile conoscersi e tenersi in contatto (invitiamo quindi anche tutte/i coloro che non hanno sottoscritto, ma che scrivono sul blog ad iscriversi).

Saranno organizzate assemblee di presentazione dell’appello (vi informeremo di volta in volta), che saranno una utile occasione per costituire i comitati di sostegno all’Appello.

Affinché però tutto questo possa realizzarsi, è necessario che arrivino nuove adesioni all’appello, affinché continui a crescere numericamente e qualitativamente. Perché ciò sia possibile, è necessario che ciascuno di voi raccolga, entro il 30 maggio, almeno 10 firme. È un impegno minimo ma denso di significato. Questo appello, affinché sia conosciuto, ha bisogno di essere popolarizzato, fatto conoscere. È un lavoro paziente ma necessario. Inviate l’appello a tutti i vostri contatti ed amici, chiedetegli di sottoscriverlo, fatelo girare nelle vostre mailing list o inviatelo a casa dei compagni che conoscete. Questa importantissima iniziativa ha bisogno del contributo di tutte/i: cominciamo da noi!

Buon lavoro a tutte e tutti

I promotori dell’appello

www.comunistiuniti.it

RICOSTRUIRE LE FORZE COMUNISTE PER SOLLECITARE NUOVE PASSIONI

di Fosco Giannini
su Il Manifesto del 21/05/2008

Lo scorso 17 aprile il manifesto pubblica un Appello di cento grandi personalità del mondo operaio e intellettuale. Esso indica, tra le cause della nostra drammatica sconfitta, la delusione provocata dal governo Prodi e il fatto che, attraverso la proposta dell’Arcobaleno, siano stati sottratti, al nostro elettorato, gli storici punti di riferimento comunisti e di sinistra. A fronte del disastro, i cento dell’Appello avanzano una proposta: che il Prc e il Pdci tornino ad unirsi in un solo partito comunista, un partito di lotta che si proponga come cuore dell’opposizione a Berlusconi e motore di una nuova unità a sinistra, rispettosa delle varie autonomie (comunisti e forze di sinistra) e ben lontana dalla fallimentare e (letteralmente) immotivata precipitazione organizzativistica dell’Arcobaleno.A tale proposta l’intero gruppo dirigente del Prc (da Giordano a Ferrero) risponde - stizzito - di no. Il gruppo dirigente del Pdci risponde di si, chiarendo che il proprio partito è disponibile ad un processo di riunificazione, per tornare alle origini della rifondazione comunista e offrire un punto di riferimento alla vasta diaspora comunista italiana.Chi scrive è d’accordo con le tesi dell’Appello e rimarca il fatto che il no di Giordano e Ferrero sia stato assunto da diversi interlocutori (non certo dai comunisti “di base”) come scontato e non sia stato per nulla indagato.In verità il no alla proposta di riunificare i due partiti comunisti italiani non è stato adeguatamente motivato e l’unico barlume argomentativo - che ha unito Giordano e Ferrero - è stato quello (molto vago) secondo il quale il Prc avrebbe da tempo assunto un’ “innovazione” alla quale il Pdci sarebbe estraneo.Prendiamo le questioni di petto: un processo di riunificazione dei due partiti comunisti darebbe, se ben condotto, una nuova passione al popolo comunista, oggi disorientato e spinto all’autoliquidazione. Rispetto ad un obiettivo così alto dovremmo davvero ritenere un impedimento le innovazioni del Prc?Occorre, da questo punto di vista, soffermarsi su tali innovazioni. Sarebbe un’innovazione impedente la cancellazione formale, dal corredo teorico del Prc, della categoria di imperialismo? Crediamo di no, per il semplice motivo che essa è stata smentita dai fatti, nel senso che l’imperialismo è oggi più vivo che mai e che anche i dirigenti del Prc - di fronte alla durezza delle guerre imperialiste - tendono a rimuovere la loro precedente tesi.Sarebbe un’innovazione impedente la fragile teorizzazione bertinottiana secondo la quale il ruolo di intellettuale collettivo non dovrebbe essere più assegnato al partito comunista, alla sinistra, ma direttamente allo spontaneismo sociale? Non crediamo: è stato lo stesso Alfonso Gianni, testa pensante del bertinottismo, ad affermare, dopo la sconfitta elettorale e il voto operaio passato alla Lega, che il senso delle masse si è perso e che è ormai tempo che siano i comunisti e la sinistra a ricostruire un senso politico e di massa.Sarebbe un’innovazione impedente l’ormai ingiallita teorizzazione bertinottiana secondo la quale la rottura da parte del Prc con il primo governo Prodi doveva essere una rottura “fondante” della stessa rifondazione comunista? Il nefasto governismo dell’ultimo Prc ha smentito clamorosamente tale teorizzazione e ha posto il problema, per tutti i comunisti, di uscire dal rischio del cretinismo parlamentare e tornare alla testa delle lotte.Sarebbe un’innovazione impedente l’assunzione da parte del Prc della categoria della non violenza? Lo sarebbe se essa si trasformasse in una rinuncia al conflitto e alla trasformazione sociale. Poiché nessuno, nel Prc, interpreta la non violenza in questo senso, la questione appare di lana caprina, poiché non vi è un comunista, nei due partiti italiani, che pensa alla lotta armata e alla presa, lunedì prossimo, del Palazzo d’Inverno.Sarebbe un’innovazione impedente l’affermazione (Bertinotti-Gianni) di qualche tempo fa, secondo la quale “ i grandi pensatori e i rivoluzionari del ’900 sarebbero tutti morti e non solo fisicamente ”? Non crediamo, poiché la sua estemporaneità non le ha permesso di ucciderli davvero, anche nel senso comune dei dirigenti e della base Prc.Qual è il punto vero, dunque, rispetto alla proposta avanzata dai cento dell’Appello, assunta dal gruppo dirigente del Pdci e volta al rilancio - attraverso la riunificazione e la rimessa in campo di una forza di opposizione sociale - di un partito comunista, dai caratteri di massa, in Italia?Ci sembra chiaro: il punto vero è se si vuole o no ricostruire il partito comunista. Se non si vuol farlo lo si dica chiaramente, senza cercare astruse motivazioni. A noi sembra che il rilancio di una forza comunista, anticapitalista, non sia una questione ideologica ma un’esigenza sociale (la guerra segna il nostro tempo e il trasferimento di quote di salario verso il profitto è il più imponente da 50 anni a questa parte). L’esigenza dell’unità dei comunisti trova oggi, per realizzarsi, un terreno favorevole. Chi si sottrae a tale compito vuol dire che pensa a costruire qualcosa d’altro, a rianimare il cadavere dell’Arcobaleno. E se ne assumerà la responsabilità.

venerdì 16 maggio 2008

Letture di Gramsci

Proponiamo la lettura delle seguenti note scritte da Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere, le quali ci appaiono piuttosto significative anche per il momento presente. Nè casuale deve essere - non conosciamo questo aspetto filologico - il loro procedere congiuntamente nella riflessione dell'autore.
[nota 1822 (seconda stesura), Q.16 (1933-1934) – prima stesura: nota 1301, Q.9 (1932)]


Il male minore o il meno peggio (da appaiare con l'altra formula scriteriata del "tanto peggio tanto meglio"). Si potrebbe trattare in forma di apologo (ricordare il detto popolare che "peggio non è mai morto"). Il concetto di "male minore" o di "meno peggio" è dei più relativi. Un male è sempre minore di uno susseguente maggiore e un pericolo è sempre minore di un altro susseguente possibile maggiore. Ogni male diventa minore in confronto di un altro che si prospetta maggiore e così all'infinito. La formula del male minore, del meno peggio, non è altro dunque che la forma che assume il processo di adattamento a un movimento storicamente regressivo, movimento di cui una forza audacemente efficiente guida lo svolgimento, mentre le forze antagonistiche (o meglio i capi di esse) sono decise a capitolare progressivamente, a piccole tappe e non di un solo colpo (ciò che avrebbe ben altro significato, per l'effetto psicologico condensato, e potrebbe far nascere una forza concorrente attiva a quella che passivamente si adatta alla "fatalità", o rafforzarla se già esiste). Poiché è giusto il principio metodico che i paesi più avanzati (nel movimento progressivo o regressivo) sono l'immagine anticipata degli altri paesi dove lo stesso svolgimento è agli inizi, la comparazione è corretta in questo campo, per ciò che può servire (servirà però sempre dal punto di vista educativo).


[nota 1823 (seconda stesura), Q.16 (1933-1934) – prima stesura: nota 1300, Q.9 (1932)]


Il movimento e il fine. E' possibile mantenere vivo ed efficiente un movimento senza la prospettiva di fini immediati e mediati? L'affermazione del Bernstein secondo cui il movimento è tutto e il fine è nulla, sotto l'apparenza di una interpretazione "ortodossa" della dialettica, nasconde una concezione meccanicistica della vita e del movimento storico: le forze umane sono considerate come passive e non consapevoli, come un elemento non dissimile dalle cose materiali, e il concetto di evoluzione volgare, nel senso naturalistico, viene sostituito al concetto di svolgimento e di sviluppo. Ciò è tanto più interessante da notare in quanto il Bernstein ha preso le sue armi nell'arsenale del revisionismo idealistico (dimenticando le glosse su Feuerbach) che avrebbe dovuto portarlo invece a valutare l'intervento degli uomini (attivi, e quindi perseguenti certi fini immediati e mediati) come decisivo nello svolgimento storico (s'intende, nelle condizioni date). Ma se si analizza più a fondo, si vede che nel Bernstein e nei suoi seguaci, l'intervento umano non è escluso del tutto, almeno implicitamente (ciò che sarebbe troppo scemo) ma è ammesso solo in modo unilaterale, perché è ammesso come "tesi", ma è escluso come "antitesi"; esso, ritenuto efficiente come tesi, ossia nel momento della resistenza e della conservazione, è rigettato come antitesi, ossia come iniziativa e spinta progressiva antagonista. Possono esistere "fini" per la resistenza e la conservazione (le stesse "resistenza e conservazione" sono fini che domandano una organizzazione speciale civile 35 e militare, il controllo attivo dell'avversario, l'intervento tempestivo per impedire che l'avversario si rafforzi troppo, ecc.), non per il progresso e l'iniziativa innovatrice. Non si tratta di altro che di una sofistica teorizzazione della passività, di un modo "astuto" (nel senso delle "astuzie della provvidenza" vichiane) con cui la "tesi" interviene per debilitare l'"antitesi", poiché proprio l'antitesi (che presuppone il risveglio di forze latenti e addormentate da spronare arditamente) ha bisogno di prospettarsi dei fini, immediati e mediati, per rafforzare il suo movimento superatore. Senza la prospettiva di fini concreti, non può esistere movimento del tutto.

lunedì 12 maggio 2008

Presentazione del libro: PERCHÈ ANCORA COMUNISTI

VENERDI 23 MAGGIO 2008 ORE 20.00
presso BAR PURA VIDA
Via S. Croce, 3815 - S. MARIA NUOVA (Bertinoro)


Sarà presente l’autore
MARCO RIZZO - EUROPARLAMENTARE PdCI

Presiede PINO CRACAS- Movimento per l’unità dei comunisti

Intervengono
FOSCO GIANNINI - DIRETTORE DE “L’ERNESTO”
GIANNI FAGNOLI - direzione PDCI FORLI
PIERANGELO LAZZARI - SEGRETARIO PdCI BERTINORO

Direttivo della Cgil - 7 maggio 2008

Documento presentato da Giorgio Cremaschi e Dino Greco

La scelta di far precipitare sulla Cgil un documento rigido e immodificabile, se non al tavolo delle trattative con la controparte, chiedendo nella sostanza l’ennesimo voto di fiducia al segretario generale su di esso, è un atto di chiusura autoritaria che più di ogni altra cosa rappresenta la crisi di questa organizzazione.La Cgil non ha mai discusso di contrattazione, di contratti nazionali, di contratti aziendali, di modello contrattuale. Questo direttivo non ha mai fatto una discussione che davvero affrontasse il mestiere del sindacato in questi anni. All’improvviso si presenta l’organizzazione di fronte al fatto compiuto. Il documento delle segreterie unitarie è contemporaneamente ambiguo e pericoloso, si apre il negoziato nella condizione peggiore, in un quadro confuso, privo di riferimenti contrattuali, politici e culturali, sotto l’attacco della Confindustria. Con il rischio concreto che si concluda solo con un accordo a perdere.Il difetto di partenza che ha portato a questo passaggio profondamente negativo, è che non si è mai voluto analizzare l’andamento reale della contrattazione, fare un bilancio della concertazione. Bilancio che è profondamente negativo. Sono stati i grandi mezzi di comunicazione di massa a dirci che in Italia c’era una catastrofe salariale e che dovevamo fare qualcosa. Senonché quello che si fa va nella direzione opposta dell’aumento del salario e della solidarietà sociale.La catastrofe dei salari viene da lontano, dall’eliminazione traumatica della scala mobile, che serviva proprio a garantire una quota di salario certo ai più deboli, a tutte e a tutti coloro che non riuscivano a rinnovare in tempo utile contratti nazionali o aziendali. In aggiunta, con l’accordo del ’93, si è poi posto un tetto agli aumenti dei contratti nazionali, mettendoli così sempre un passo indietro rispetto alla tenuta del potere d’acquisto dei lavoratori. E’ bene ricordare che i due accordi separati del contratto dei metalmeccanici ci sono stati proprio di fronte al tentativo della Fiom di superare i tetti del ’93 e di rivendicare nel contratto nazionale una quota di produttività.Ora, invece che correggere gli aspetti negativi del 23 luglio, con il documento Cgil-Cisl-Uil li si accentua. I soldi non hanno tenuto il passo con l’inflazione e con i profitti non perché c’era troppo contratto nazionale, ma perché ce ne era troppo poco. Perché il contratto nazionale non aveva più in basso il sostegno della scala mobile, mentre subiva in alto la costrizione della gabbia della concertazione. Ora, invece che togliere la gabbia si vuol togliere il contratto nazionale, o almeno ridimensionarlo. Si dirà che nessuno vuole cancellare il contratto nazionale, esattamente come così si diceva quando è cominciato il processo di smantellamento della scala mobile. Purtroppo la logica è la stessa di allora.Se ci sediamo al tavolo accettando un’impostazione che dice che per guadagnare di più bisogna dare più produttività e questa la si deve recuperare in azienda, è inevitabile che si finisca per ridimensionare il già tenue ruolo del contratto nazionale a favore non della contrattazione aziendale, ma del salario individuale. Se poi si pensa che la contrattazione territoriale possa aumentare salari e poteri, coprendo i buchi vecchi e nuovi del contratto nazionale, allora le esperienze del contratto dei lavoratori agricoli e degli artigiani ci dicono che è vero esattamente il contrario e che la contrattazione territoriale verrà istituita solo se porterà alle gabbie salariali.Purtroppo c’è una coerenza in queste scelte, che nasce dalle decisioni sbagliate di questi anni. E’ per questo che sarebbe stato necessario confrontarsi tra ipotesi alternative. Che qui sintetizziamo in tre punti:1. la garanzia di un recupero salariale certo per una quota di salario di fronte all’inflazione,2. la liberazione dei contratti nazionali da ogni vincolo, facendo di essi lo strumento fondamentale per l’aumento delle retribuzioni reali, come deciso nel congresso,3. la liberazione della contrattazione aziendale dal vincolo esclusivo del rapporto con la produttività e la redditività, rilanciando davvero il confronto sull’organizzazione del lavoro, la professionalità, la salute e la sicurezza con una diffusa campagna di contrattazione articolata.La Cgil doveva compiere queste altre scelte se voleva uscire dall’angolo, ma non è questa la cosa più grave. Il fatto più grave è che queste scelte, che sono parte della cultura fondante dell’organizzazione, sono state semplicemente stralciate dal confronto. Si doveva avere il coraggio di presentare due ipotesi, quella del ridimensionamento e quella del rafforzamento del contratto nazionale, alla consultazione degli iscritti e dei lavoratori e magari chiedere proposte, modifiche, aggiunte. Si doveva costruire il confronto sul modello contrattuale esercitando la partecipazione. Avremmo bisogno di più democrazia e più partecipazione anche solo per realizzare gli obiettivi del documento Cgil-Cisl-Uil, e invece operiamo con metodi autoritari.Per queste ragioni non condividiamo il documento qui presentato e riteniamo necessario che nei luoghi di lavoro si svolga una consultazione vera e non un’informazione, con voto segreto già sulla piattaforma e che sia possibile aprire nella consultazione una dialettica fra posizioni diverse.

Cgil-Cisl-Uil, contratti nazionali super-light. Montezemolo, «meglio tardi che mai». Tensione nella Fiom e nella Cgil

da La rinascita della sinistra 08/05/08

Cgil, Cisl e Uil hanno raggiunto l'intesa sulla riforma del modello contrattuale, dando un duro colpo al contratto nazionale fra la soddisfazione di Confindustria e lo strappo con la Fiom…
Riduzione del numero dei contratti (ora 400), introduzione degli accordi triennali, nuovi meccanismi per la definizione della rappresentanza, sono solo alcune delle modifiche introdotte, ma a far più discutere è il potenziamento del doppio livello di contrattazione. Infatti il contratto nazionale rimarrà (certo per i sindacati abolirlo del tutto sarebbe stato ingiustificabile davanti ai lavoratori) ma sarà “light”, estremamente modificabile.
Il livello contrattuale nazionale sarà, si legge nel testo approvato, «di sostegno e valorizzazione del potere d'acquisto per i lavoratori di una categoria», mentre sarà rafforzato il secondo livello di contrattazione, a livello aziendale e territoriale, incentrato sul salario e legato a parametri di produttività, qualità, redditività, efficienza ed efficacia.
Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ha parlato di «un momento storico per il sindacato», «un sindacato più democratico», specifica il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, e Luigi Angeletti, della Uil, annuncia l'apertura del confronto con gli imprenditori.Sì, proprio una svolta storica, ma del tutto negativa per Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom, che parla di un possibile disastro sociale: «L'accordo porta ad abbassare il salario medio e a dare qualcosa di più a chi fatica di più e quindi ad aumentare il tasso di sfruttamento dei lavoratori».
Dopo il via libera da parte delle segreterie unitarie toccherà ai direttivi unitari di Cgil, Cisl e Uil convocati per il 12 maggio approvare l'ipotesi di riforma, ma dentro la Cgil si consuma una profonda lacerazione.
All'arrivo della notizia della sospensione dei dirigenti della Fiom milanese, Rinaldini ha abbandonato il direttivo nazionale della Cgil che si è svolto ieri sera. Il segretario generale della Fiom non ne parla apertamente, ma il tentativo di far fuori dal sindacato la parte più “scomoda”, quella che non condivide la riforma contrattuale e le ultime scelte del sindacato, appare evidente. Giorgio Cremaschi, segretario nazionale dei metalmeccanici, parla di «intimidazione politica, metodi e forme estranee alla cultura dell'organizzazione».
Soddisfatto dell'intesa raggiunta da Cgil, Cisl e Uil invece, e c'era d'aspettarselo, il presidente uscente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo che rimprovera ai sindacati solo la tempistica: «Meglio tardi che mai».
Montezemolo evidenzia tre aspetti positivi nella nuova piattaforma: la durata triennale dei contratti, l'apertura al secondo livello di contrattazione e la possibilità di «pagare di più chi vuole lavorare di più».
Insomma quello che Montezemolo non è riuscito a fare nei 4 anni alla guida di Confindustria lo hanno fatto ora i sindacati. Industriali ed imprenditori ringraziano.

giovedì 8 maggio 2008

Ed ora che fare? lo scenario politico dopo il voto di aprile le prospettive e le proposte dei comunisti

Assemblea pubblica
Venerdi 16 maggio ore 21.00
Sala Silentium Vicolo Bolognetti, 2 BO

Il risultato delle elezioni del 13 e 14 aprile ci consegna un quadro politico profondamente mutato, e caratterizzato da due “inedite”condizioni politiche: un parlamento dove esistono solo due opzioni interscambiabili tra loro, e la scomparsa della rappresentanza parlamentare per Verdi, PdCI, PRC e Sinistra Democratica, con la probabile fuga in ordine sparso dei suoi gruppi dirigenti.
E’ importante che tutte le forze politiche e sociali si confrontino con questo nuovo scenario.
Questa fase potrà rappresentare un importante momento di verifica delle prospettive dei comunisti, se si eviteranno le scorciatoie degli schieramenti elettorali. L’Associazione Politica e Classe ritiene importante oggi partecipare e promuovere momenti di dibattito tra le forze comuniste affinché si ridefinisca una identità di classe oggi nel nostro paese, dentro un contesto segnato dalla competizione globale imperialista.

Introduce:
Roberto Sassi
Associazione Politica e Classe

Partecipano:

Giorgio Gattei
Docente università di Bologna

Francesco Maringiò
Promotore dell’appello Comunisti Uniti
(Coordinamento Nazionale Giovani Comunisti PRC-SE)

Marco Santopadre
Rete dei Comunisti

Tiziano Loreti
Segretario della federazione di Bologna del Prc-SE

Sono stati invitati all’iniziativa tutte le organizzazioni e gruppi politici e sociali della città di Bologna

Associazione Politica e Classe-Bologna

martedì 6 maggio 2008

Nelle parole di Fini c’è la cultura della macelleria di Genova

p. La Rete dei Comunisti
Mimmo Provenzano

su contropiano.org del 06/05/2008
Comunicato stampa della Rete dei Comunisti

Le dichiarazioni del neo presidente della Camera Gianfranco Fini, pongono moltissimi interrogativi, uno più inquietante dell’altro. Ritenere meno grave che dei naziskin massacrino a morte di botte un ragazzo che bruciare la bandiera di uno stato come Israele, è una affermazione che mette i brividi, fa suonare sirene d’allarme in ogni piega della società e offende il senso comune. E’ una forma di legittimazione di quella “banalità del male”, spesso evocata ed oggi praticata da cinque figli di famiglie perbene della perbenista Verona impegnati – a modo loro – nella pulizia etnica del loro territorio.Ma ancora peggiori sono stati i tentativi di Gianfranco Fini di precisare i contenuti di una affermazione più aberrante che infelice. Fini infatti ha replicato ricordando che la sinistra ha perso le elezioni perché ha pagato per le sue posizioni estremiste.In questo non c’è solo il servilismo degli ultimi arrivati sulla strada della complicità con la politica israeliana contro i palestinesi, c’è il cinismo dell’odio politico contro gli avversari e contro qualsiasi espressione della sinistra nel nostro paese, un odio compresso e nascosto fino ad oggi per causa di forza maggiore e che adesso può essere manifestato senza il timore di pagarne un prezzo politico e di immagine.E’ questo cinismo e questo odio contro la sinistra, i suoi attivisti e le sue manifestazioni che fa tornare la mente alla cabina di regia della macelleria messicana scatenata contro i manifestanti a Genova nel luglio di sette anni fa. In molti, in Italia e all’estero, si sono domandati che cosa potesse aver scatenato tra le forze dell’ordine le brutalità e le violenze che abbiamo visto per le strade di Genova, nella caserma di Bolzaneto o alla scuola Diaz. Una spiegazione – parziale ma a questo punto emblematica – oggi ce la offrono le dichiarazioni di Gianfranco Fini che a Genova stava nella cabina di comando delle operazioni repressive.Gianfranco Fini deve sapere chiaro e forte che in questo paese nessuno accetterà supinamente di rinunciare alla propria identità politica, alla propria storia e alla difesa della libertà di espressione politica, incluso il diritto e il dovere di mettere sotto accusa la politica di apartheid e di occupazione militare e coloniale che Israele pratica da sessanta anni contro la popolazione palestinese. Allo stesso modo riaffermiamo che sarà respinto ogni tentativo di minimizzare lo squadrismo neonazista riducendolo ad un fenomeno di bullismo. Non c’è più la voglia né il tempo di scherzare. Sabato 10 maggio saremo in piazza a Torino anche per riaffermare che essere antifascisti significa anche lottare contro una ideologia colonialista e razzista come il sionismo.

sabato 3 maggio 2008

Lavorare di più, contrattare in azienda

di Sara Farolfi
su Il Manifesto del 01/05/2008

È pronto il testo sulla riforma del modello contrattuale. Segreterie unitarie di Cgil, Cisl e Uil la prossima settimana. Il contratto nazionale viene ridotto al «minimo», e gli aumenti salariali saranno da contrattare in azienda. Mentre Berlusconi prepara la detassazione secca degli straordinari
I sindacati accelerano sulla riforma del modello contrattuale. I tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil hanno definito e completato il testo comune che sarà alla base della discussione con Confindustria, oggi dovrebbero annunciarlo e già per l'inizio della settimana prossima sono previste le segreterie unitarie delle tre confederazioni. Guglielmo Epifani, alle prese con il dissenso interno della categoria dei metalmeccanici e delle aree programmatiche Lavoro e società e Rete 28 Aprile, ha scelto la strada dell'accelerazione. Su una materia, la contrattazione, che costituisce l'essenza stessa del sindacato. Il cambiamento è poderoso e deciderà delle politiche salariali (e non solo) per almeno il prossimo decennio. Con gli accordi del luglio 1993, le politiche contrattuali furono informate al principio della stabilità monetaria e al contenimento dell'inflazione. Allora l'obiettivo era l'ingresso in Europa, il pegno da pagare (dai soliti noti, naturalmente) fu quella moderazione salariale che ha portato i salari italiani ai livelli più bassi di tutta Europa. Oggi l'obiettivo è, accanto al miglioramento delle condizioni di reddito, «la competitività e produttività del nostro sistema imprenditoriale». Al contratto nazionale resta la difesa del potere d'acquisto, gli aumenti salariali saranno da contrattare in azienda (legati ai parametri della produttività, qualità, redditività, efficienza e efficacia). Ma la contrattazione di secondo livello, come hanno mostrato diverse ricerche (ultima quella del Censis), interessa una fetta piccola del sistema imprenditoriale. Di contrattazione territoriale - a cui oggi si richiamano i sindacati con le parole, Rsu in tutti i posti di lavoro - si parlava già nel '93 e, salvo pochi settori, del tutto inutilmente (del resto Emma Marcegaglia ha già parlato chiaro: per noi non esiste). Nella gran parte delle imprese italiane, che sono sotto i 10 dipendenti, non c'è neppure il sindacato. A questo si aggiunga l'offensiva berlusconiana che porterà sul tavolo del primo consiglio dei ministri la detassazione secca degli straordinari e di tutte le voci del salario variabile (premi e incentivi). Ossia l'allungamento di fatto dell'orario di lavoro ( per guadagnare di più bisogna lavorare di più ), che nelle intenzioni del nuovo governo non avrà alcun riferimento alla contrattazione aziendale. Puntando in questo modo al pieno dispiegarsi del rapporto individuale tra azienda e lavoratore. Il nuovo modello contrattuale I contratti (pubblici e privati), oggi divisi in un quadriennio normativo e due bienni economici, saranno triennalizzati. La difesa del potere d'acquisto viene ancorata al concetto di «inflazione realisticamente prevedibile». Nel '93 si chiamava «inflazione programmata», e il risultato (complice anche il costante ritardo nei rinnovi dei contratti nazionali) è sotto gli occhi di tutti. Per misurare l'inflazione, i sindacati pensano all'indice europeo (a cui andrebbe aggiunta la spesa per i mutui), oppure al deflattore nazionale dei consumi interni: la cosa sarà comunque oggetto della trattativa con le imprese (che non sembrano per la verità molto disponibili). Viene corretto anche quel passaggio del testo - da molti letto come un'apertura alla possibilità di deroghe - in cui si dice che «i contratti nazionali dovranno prevedere, in termini di alterità, la sede aziendale o territoriale». Gli aumenti salariali saranno relegati alla contrattazione di secondo livello - aziendale e territoriale (regionale, di filiera, comparto, distretto e sito). Per tutti i lavoratori scoperti, verrà definita a livello nazionale una sorta di «indennità di perequazione», come nell'ultimo contratto dei metalmeccanici. Decisive, vengono considerate in casa Cgil, le linee guida su democrazia e rappresentanza. I sindacati puntano sulla certificazione, e dunque sulla certezza, della rappresentanza. Il luogo deputato sarà il Cnel e la certificazione delle iscrizioni sarà fatta mediante l'Inps. Il modello somiglia a quello del pubblico impiego, anche se l'accordo sarà per via pattizia (tra le parti) e non per via legislativa. Per misurare la rappresentatività (quali organizzazioni sindacali siano ammesse alla contrattazione collettiva) sarà utilizzato un indice, che terrà conto del numero di iscritti, dei voti presi nelle elezioni delle Rsu e di quelli nei comitati di sorveglianza degli enti previdenziali. Nel testo siglato tra Epifani, Bonanni e Angeletti la soglia (che nel pubblico impiego è fissata al 5%) dovrebbe essere lasciata alla decisione delle singole categorie. Anche per l'approvazione degli accordi, sarà preservata l'autonomia delle categorie. Per gli accordi interconfederali il procedimento sarà invece quello seguito con il protocollo sul welfare: le segreterie unitarie sottoporranno l'ipotesi di accordo al voto dei direttivi unitari, i contenuti dell'accordo verranno illustrati ai lavoratori, e nella fase finale sottoposti a «consultazione certificata». Sembra invece finita in nulla la richiesta della Uil di una forma di validazione specifica anche per la proclamazione di scioperi. L'era berlusconiana Cgil, Cisl e Uil puntano ad arrivare al primo incontro con il governo con il testo condiviso. La contrattazione di secondo livello, chiedono, dovrebbe essere incentivata anche mediante sgravi contributivi (a cui si è dato corso con il protocollo sul pensioni e welfare). Berlusconi punta tutto per ora sulla detassazione degli straordinari e delle una tantum. Punta cioè, e non ne fa mistero, al rapporto individuale tra lavoratrice o lavoratore e datore di lavoro. La Cgil si è detta contraria a tali misure, ma il combinato disposto tra la riforma del modello contrattuale e le politiche berlusconiane lasceranno il segno. Sarà così possibile per i padroni aumentari i salari dei dipendenti, senza dovere ricorrere al contratto integrativo (imprenditori alla Della Valle o alla Riello ne saranno felici). E sarà persino possibile (lo ha notato anche Ichino) una nuova forma di evasione fiscale: per sottrarre ogni aumento retributivo all'aliquota Irpef, sarebbe sufficiente farlo passare come straordinario.

giovedì 1 maggio 2008

L’effetto negativo di questa sconfitta si ripercuote anche su tutte e tutti coloro che l’avevano presentita e annunciata

di Giorgio Cremaschi (Coordinatore Rete 28 aprile della Cgil)
su contropiano.org del 24/04/08

Il 24 aprile si riunisce il Gruppo nazionale di continuità della Rete per discutere della situazione sindacale dopo le elezioni e dell’iniziativa della Rete.

Le reazioni della Confindustria al voto, la campagna contro la casta sindacale, sono il segnale che il 13 e 14 aprile non c’è stata solo la sconfitta del governo Prodi e della sinistra, ma anche quella del sindacato confederale. Naturalmente questo fatto verrà negato in tutti i modi, non solo da Cisl e Uil, che in fondo possono vantare una coerenza di comportamenti moderati rispetto a Prodi e Berlusconi. Ma anche dalla Cgil, che ha investito tutto, nel proprio ultimo congresso, sul patto di legislatura con il governo Prodi e ora si trova senza patto e in un’altra legislatura dominata dalla destra.

Diciamo subito che è per questa ragione, perché è stato il gruppo dirigente stesso della Cgil a investire due anni fa l’azione sindacale nel rapporto con il governo, che è indispensabile un congresso che democraticamente verifichi il fallimento di una linea sindacale e ponga l’alternativa o le alternative ad essa. E’ chiaro che cosa è in campo. La riduzione del peso del contratto nazionale fino alla sua progressiva scomparsa. E’ singolare che proprio in questi giorni l’Istat scopra le differenze di prezzi tra Nord e Sud e, in perfetta sintonia, rappresentanti del centrosinistra e della Lega Nord parlino di gabbie salariali. Un po’ più a sinistra quelli della Lega, che parlano anche di rilancio di una forma di scala mobile.

Montezemolo rilancia gli accordi separati, anche per acquisire prestigio di fronte alla nuova maggioranza e per coprire i problemi della Fiat. Intanto l’effetto valanga del voto, come sempre avviene in questi casi, fa scoprire ai grandi giornali la crisi del sindacato, la burocrazia e la casta dei sindacalisti.

E’ chiaro che in questo quadro si prepara un nuovo Patto per l’Italia, con l’obiettivo esplicito che questa volta anche la Cgil sottoscriva l’intesa. Gli accordi degli ultimi due anni aprono la via a un’intesa quadro nella quale si flessibilizza definitivamente il salario e le condizioni di lavoro sono sottoposte allo scambio salario-produttività.

La Cgil in questi ultimi anni si è troppo esposta su un terreno moderato, per poter tranquillamente tornare a un ruolo di opposizione sociale e di riferimento culturale e politico per chi contrasta la svolta a destra del paese. Il richiamo al sindacato a fare solo il suo mestiere, in questo contesto, cambia di segno e diventa la regressione verso il corporativismo e l’aziendalismo, il passaggio dalla logica del governo amico a quella per cui tutti i governi sono potenzialmente amici.

Il problema fondamentale è che l’effetto negativo di questa sconfitta si ripercuote anche su tutte e tutti coloro che l’avevano presentita e, invano, annunciata. Quello che è avvenuto era stato già annunciato dai fischi a Mirafiori, il 7 dicembre 2006. Abbiamo urlato in tutte le direzioni dove si andava, non siamo stati ascoltati e ora, paradossalmente, chi ha ignorato tutti questi segnali e avvisi, si prepara a far finta di niente.

Nell’assemblea della Rete28Aprile del 14 marzo avevamo lanciato la proposta della costruzione di un’opposizione nella Cgil, come parte dell’opposizione all’attacco ai diritti alla contrattazione al salario. Come parte della lotta per cambiare le condizioni di lavoro. Questa linea è oggi ancora più necessaria e pone sulle spalle della piccola struttura della Rete, che ha conquistato grande credibilità per aver detto le cose giuste al momento giusto, enormi responsabilità.

Per questo, mentre ci prepariamo a chiedere con determinazione il congresso anticipato della Cgil, dobbiamo organizzare, come avevamo previsto nell’assemblea di Milano, il percorso della Rete teso ad organizzare l’opposizione che, a questo punto con maggiore chiarezza, non sarà solo rispetto agli slittamenti moderati del sindacato, ma anche alle politiche economiche e sociali che si preparano con il governo Berlusconi e con l’offensiva della Confindustria contro la contrattazione sindacale. Nel costruire questa opposizione, però, non intendiamo schierarci a difesa del sindacato così com’è. I giornali che oggi parlano di casta sindacale, quasi tutti vicini al centrosinistra, lo fanno con l’intento di costringere il sindacato a un passo indietro proprio sul terreno della contrattazione e della difesa dei diritti. In un certo senso ciò che si propone a Cgil, Cisl, Uil è un ulteriore scambio: rinunciare definitivamente a una contrattazione conflittuale, in cambio del mantenimento dei Caaf, dei distacchi, delle quote riservate, dei finanziamenti indiretti. Per questo dobbiamo raccogliere la sfida sul terreno della democrazia sindacale e svelare il segno sociale dell’operazione. Chi oggi aggredisce dalle colonne del Corriere della Sera o di Repubblica la casta sindacale, non lo fa perché improvvisamente è colpito dall’esigenza di democrazia e rinnovamento dei grandi sindacati, ma perché vuole ridimensionare in senso liberista contratti e diritti, compreso quello di sciopero. Non dobbiamo però dimenticare che la burocratizzazione dei sindacati, il loro distacco dalla realtà di tante condizioni del lavoro è un fatto reale e, pertanto, la risposta a questa offensiva sta nel rilanciare, accanto alla difesa dei diritti dei lavoratori, la necessità di una vera riforma democratica del sindacato.

Su tutti questi temi intendiamo avviare il percorso della Rete nelle prossime settimane, con l’organizzazione della Rete28Aprile, così come avevamo deciso, in maniera formale e visibile nei territori e nelle categorie. Vogliamo quindi proporre un percorso nel quale Rete28Aprile si presenta a tutti coloro che vogliono organizzare l’opposizione, la difesa dei diritti, la democrazia sindacale. Occorre quindi uno straordinario sforzo politico e organizzativo perché nei prossimi mesi in tutte le principali categorie, in tutte le province, sia visibile e presente la voce e la proposta della Rete28Aprile.

Ripartire da noi comunisti

Relazione di Diliberto alla Direzione del Pdci del 18 aprile 2008
su La Rinascita della sinistra del 24/04/08

Voglio iniziare senza ipocrisie. Quando c'è una sconfitta e quando c'è una sconfitta di queste proporzioni trovo assolutamente necessario che colui che ha guidato il partito, il sottoscritto, chieda al gruppo dirigente fondamentale, cioè la Direzione del partito, se ritiene utile che io continui a fare il segretario

Lo dico nel modo più diretto possibile perché è giusto che sia così. In un momento del genere vi assicuro che tirare la carretta è complicato. E credo di avere dimostrato, anche alla vigilia di questa campagna elettorale, di essere - forse tra i non molti - sicuramente non attaccato alla poltrona, visto che avevo deciso di lasciare il Parlamento. Per cui con assoluta serenità e laicità nella discussione, se ci sarà un giudizio negativo da parte dei compagni su quello che io dirò, su quello che abbiamo fatto e su quello che faremo, la proposta politica insomma – che alla fine ovviamente voteremo – , posso garantire sin d'ora, e sapete che è la verità, che io continuerò a fare semplicemente, e con immutato orgoglio il militante di questo partito e nulla di più. Se invece i compagni riterranno utile che io continui a svolgere il ruolo di segretario, lo farò, e lo farò con rinnovata passione, anche se, come è del tutto evidente, in una situazione molto più complicata di prima. C'è però una cosa che io mi chiedo e chiedo a tutti, qualunque sia la scelta: il rispetto delle persone, che viene prima della politica. Anche la critica politica, la più feroce, deve tener conto del rispetto tra i compagni, senza il quale è la barbarie. E purtroppo abbiamo assistito, in questi ultimi periodi, da parte di alcuni, ad una preoccupante degenerazione in tal senso. Piccoli, isolati, marginali episodi. Ma che vanno stroncati prima che la degenerazione si diffonda.

L'esito di queste elezioni come è chiaro a tutti è disastroso. E' disastroso complessivamente, al di là della sinistra. E' disastroso perché il Parlamento che è stato eletto è il più a destra della storia della Repubblica italiana. Berlusconi ha la più grande maggioranza da quando è sceso in politica - altro che pareggio, ha 40 senatori in più. La Lega è vertiginosamente aumentata - sembrava finita - anzi sta sfondando anche nelle regioni ex, molto ex, “rosse”. Il Partito democratico non è aumentato affatto rispetto alle sue previsioni, è al di sotto della soglia del 35% che era stata prefigurata come la soglia di una accettabile, ancorché modesta, vittoria. La sua vocazione sarebbe dovuta essere quella di contendere i voti ai moderati, invece non ne ha preso neanche uno. Il risultato delle scelte di Veltroni è che Berlusconi governerà 5 anni - questa è la previsione più facile - e rischia – drammaticamente - di governare anche dopo, se non si inverte la rotta. C'è una sola cosa che è riuscita al Partito democratico ed è stata “schiantare la sinistra”. Certo, anche per colpa della sinistra medesima (come dirò tra breve), ma la campagna mediatica micidiale sul voto utile, sulla bipolarizzazione “Berlusconi contro Veltroni”, Berlusconi che invitava a votare per sé o altrimenti per Veltroni e viceversa, la logica di un bipartitismo sempre più americanizzato che prevede l'alternanza tra simili e non una vera e propria alternanza come c'è in paesi anche europei, tutto ciò ha portato a ché gran parte dei voti della sinistra – sono quantificati dai flussi intorno al 55% - siano stati sottratti alla lista della Sinistra Arcobaleno per andare verso il Partito democratico.

Tuttavia la disfatta della sinistra, evidentemente, non può essere spiegata solo con questa pur importantissima circostanza. Perché io credo che ci siano stati un combinato disposto di diversi fattori. Il primo è l'astensione di sinistra: la delusione della pratica del Governo Prodi, 2 anni di aspettative eluse che hanno portato ceti popolari e lavoratori a non andare a votare. Penso alla grande manifestazione di ottobre e al fato che dopo è bastato Dini a renderci del tutto ininfluenti. Poi c'è stato il fenomeno dell'aumento di Di Pietro, secondo me corroborato da voti di sinistra. Gente che non voleva votare Partito democratico ma voleva concorrere alla vittoria possibile, potenziale, contro Berlusconi, gente che ha votato la coalizione di Veltroni. ma votando per Di Pietro. Ancora una volta, dunque, voto utile. Poi, ancora, c'è la faccenda clamorosa del simbolo. Aver voluto, pervicacemente e scelleratamente, togliere il simbolo più forte, più riconoscibile, più tradizionale, cioè la falce e il martello è stato un errore micidiale. Non certo di questo partito. Ad un giornalista che nei giorni scorsi mi ha detto «ma non è anacronistico insistere con il simbolo?», io ho risposto «guardate che 2 anni fa, mica un secolo fa, nel 2006, in Italia le due falce e martello presenti hanno preso 3 milioni e 800mila voti. L'Arcobaleno ne ha preso 1 milione e mezzo, quindi evidentemente è anacronistico l'Arcobaleno, non la falce e martello». Noi abbiamo cercato – come i compagni sanno – di spiegarlo disperatamente ai nostri alleati, ma in quella coalizione, ormai largamente defunta, perché sono stati gli italiani a stabilirlo, c'era un'egemonia culturale sostanzialmente a-comunista.

A tutto questo si deve aggiungere che non ci ha giovato la presenza di alcuni dei nostri alleati e che è stata sbagliata la campagna elettorale da parte del candidato leader. Non apparteniamo alla schiera degli sciacalli che si accaniscono contro chi ha perso: anzi, ringraziamo Bertinotti per essersi speso in campagna elettorale. La critica è tutta e solo politica. Noi siamo stati, infatti, gli unici che nelle settimane prima del voto hanno attaccato il Pd. Ma siamo stati totalmente oscurati durante la campagna elettorale. Al contrario c'è stato un assoluto predominio da parte di Bertinotti che da parte sua non diceva nulla contro il Pd, quasi come prefigurasse un patto successivo. Errori che si sono susseguiti l'uno all'altro sino ad alcuni clamorosi infortuni che certo non hanno aiutato, non hanno spronato i comunisti ad andare a votare: l'ultimo dei quali a tre giorni dal voto dichiarare che il comunismo sarebbe rimasto una “tendenza culturale” nel nuovo soggetto.

Detto tutto questo, ognuna di queste concause ha contribuito, tuttavia avverto un problema di fondo: è venuto meno l'insediamento sociale della sinistra. Se di colpo si possono spostare milioni di voti da una parte all'altra, vuol dire che quei voti erano semplici voti di opinione. Per carità i voti di opinione sono sempre esistiti e il Pci largamente ne fruiva, ma c'era in quel caso, anche e largamente, una base sociale di insediamento forte che garantiva un radicamento indipendente dall'opinione, che naturalmente poteva cambiare, aumentare e spostarsi. Insomma c'era un radicamento che oggi non c'è più. E appunto oggi occorre proprio ripartire dal radicamento e dall'insediamento sociale.

Rispetto a tutto ciò una domanda viene spontanea: si sarebbe potuto fare diversamente? Sarebbe stato meglio, o meno peggio, scegliere di andare da soli? Questa è la domanda a cui dobbiamo rispondere. Dove siamo andati da soli, nelle comunali, non è andata bene. E se in luoghi dove noi abbiamo un insediamento vero, prendiamo il due per cento, nazionalmente quanto avremmo preso? La controprova su quanto avremmo potuto prendere se fossimo andati da soli alle politiche non ci sarà mai, ma alcuni elementi per ragionare ci sono. Il rischio quale sarebbe stato? Temo che avremmo avuto un consenso del tutto residuale come è capitato allo Sdi, cioè sotto all'uno per cento. Un disastro. Saremo stati vittime del doppio voto utile, verso il Pd e verso l'Arcobaleno. E se, avendo fatto la scelta di andare da soli, fossimo qui a commentare un dato del genere, allora sì che non ci resterebbe che la consegna al tribunale fallimentare dei libri contabili di questo partito. Credo di non aver sottovalutato affatto la disfatta, né di aver sottovalutato gli errori, ma nella disfatta noi oggi possiamo riprovare a ripartire, gli altri forse no.

Il nostro Partito complessivamente rispetto agli altri partner dell'alleanza è quello che ne esce meglio. Tutti i commentatori dicono che il Pdci tiene. Ed è vero. Ora però proviamo a ricominciare. La voglio dire con un titolo: “un nuovo inizio”. Ma voglio essere sincero, sarà una lunghissima traversata nel deserto. Una difficilissima traversata nel deserto. L'Arcobaleno è finito, è del tutto evidente. Quel che resta? Una bizzarra riunione promossa a Firenze dal professor Ginsborg, orfano del professor Pardi, che in cambio di un seggio in Parlamento ha mollato tutti, dai girotondi a Grillo... Tutti. A dimostrazione che la società civile può essere di gran lunga peggio della società politica. L'Arcobaleno non c'è più: i Verdi veleggiano verso il Pd, o ne rimane una piccola enclave autonoma, che probabilmente sta cercando collocazione in un nuovo soggetto che però non c'è nel panorama politico e rischia di non esserci neppure in futuro; Sinistra democratica si è liquefatta, Alfiero Grandi ha dichiarato che guardano ad una nuova alleanza con i socialisti residui, che come noto hanno preso lo 0,9 per cento e con la sinistra del Partito democratico; Rifondazione è nella estrema difficoltà e lacerazione che tutti quanti stiamo vedendo.

Ed allora che fare? E’ apparso ieri su molti giornali un appello – rivolto anche a noi Pdci – di pezzi di movimenti di lotta, i NoTav, i No dal Molin, il comitato sardo “Gettiamo le basi”, quelli contro il ponte di Messina, pezzi di movimenti veri, rappresentanze di luoghi dei lavoro e illustri esponenti dell’intellettualità comunista. Questo appello chiede che per ricostruire la sinistra si inizi da noi comunisti. Rivolge l'appello a noi, a Rifondazione e a tutti i comunisti e le comuniste, comunque collocati in Italia. Ma chiede innanzitutto l'unità fra i due partiti comunisti, ossia fra le due cose che ci sono. Quello che è rimasto in campo dopo lo tsunami. Noi e loro, e tutto l'arcipelago variegato di compagni e compagne che magari hanno lasciato il Pdci e Rifondazione o che non ci sono mai stati e che comunque si riconoscono in un progetto di trasformazione della società in senso socialista. In parole semplici, si chiede l'unità di quello che è rimasto della sinistra. Bene, a questo nuovo inizio, e cioè concorrere, mettere a disposizione il Pdci, per un progetto più grande di costruzione di un Partito comunista in Italia, a questo appello noi, la segreteria del Partito ha risposto di sì. Ora attenderemo la risposta di Rifondazione comunista.

Ma sul Prc vorrei spendere qualche parola. Il disastro viene da lontano: nel 1996, dodici anni fa, non un secolo, Rifondazione aveva l'8,6 per cento dei voti, e nel primo anno di governo Prodi i sondaggi le attribuivano percentuali tutte al di sopra delle due cifre. Chi c'era si ricorda. Successivamente, il gruppo dirigente di Rifondazione decide di far cadere Prodi, immaginando una fuoriuscita da sinistra, le trentacinque ore..., cade Prodi, c'è la nostra scissione, e nell'99 Rifondazione prende il 4% alle europee e noi il 2 per cento. Si sono persi, anche solo considerando i consensi presi due anni prima, il 2,5% di voti. Uomini e donne che non sono venuti né da noi, né da loro. Poi nel 2001 il Prc non fa l'accordo con il centrosinistra, consegnando a Berlusconi di nuovo il governo – se al Senato ci fosse stato l'accordo si pareggiava – infine nel 2006 pur partendo da una posizione che sino a pochi anni prima diceva «per me centrodestra e centrosinistra pari sono», il Prc sigla l'accordo più “unitario” e arrendevole, Bertinotti va a fare il presidente della Camera, una scelta istituzionale che riduce gli spazzi di battaglia politica anche dentro il Parlamento, e nel 2008, infine, siamo in questa condizione. Beh io credo che noi dovremmo provare a ritornare al '96. Non ci riusciremo in toto, sia ben chiaro, però proviamo a ripartire da lì. Da qualche parte, infatti, il bandolo dobbiamo provare a riprenderlo. L'Appello è rivolto a noi, a tutti i compagni e le compagne di Rifondazione comunista, a tutti. Non è un appello rivolto semplicemente alle minoranze del Prc. Anche se non si può escludere che alla fine lo raccolgano solo le minoranze stesse, e tuttavia la discussione interna a Rifondazione non è ininfluente rispetto a questo progetto. Anzi. Ho l'impressione nettissima che sia in atto, tanto più dopo questo risultato, una operazione politica che mira ad aggregare una sorta di forza cuscinetto, chiamiamola così di “sinistra buona”, magari guidata da Vendola, come auspica Francesco Merlo su La Repubblica, dove possano confluire i reduci dell'Arcobaleno che non vogliono il progetto comunista. Ho l’impressione che Bertinotti stia lavorando a questo. A noi non ci vogliono. Questo agglomerato cuscinetto, come io lo ho definito, nel breve periodo andrà a fare la sinistra del Pd. Cosa resta? Restiamo noi. Noi e coloro che dentro Rifondazione rifiuteranno questa deriva, più tanti che fuori dai due partiti esistenti ancora si sentono comunisti. Vedremo il dibattito che si svolgerà entro al Prc, però spero solo una cosa, che la scelta che faranno sia non equivoca. E cioè che non ci sia ancora una scelta in mezzo al guado. Sarà il congresso naturalmente a sciogliere questo eventuale equivoco, tuttavia dentro Rifondazione ci sono forze sicuramente disponibili e noi dobbiamo con chi ci sta provare a ricominciare. Ovviamente, ripeto, rivolgendoci potenzialmente a tutti.

Giusto a questo punto domandarsi con che caratteristiche dovrebbe nascere questo nuovo soggetto. Intanto fuori dal Parlamento. Non è una scelta, non abbiamo deciso di diventare un partito extra parlamentare, ci hanno cacciato dal parlamento gli elettori con il loro voto e Veltroni che non ha voluto l'apparentamento. Questa nostra non è quindi una vocazione extraparlamentare, come è evidente: è una condizione. Io non sono di quelli che pensano che anche la sconfitta può avere lati buoni, una sconfitta è una sconfitta, tuttavia proviamo dalla sconfitta a trarre qualche insegnamento e ripartiamo dall'opposizione. Ripartiamo dal conflitto sociale. Ho programmato per questa settimana due incontri con i lavoratori nelle fabbriche, uno a Bari e uno a Milano alla Magneti Marelli. Dobbiamo ricominciare da li, e dobbiamo dislocare i dirigenti di partito nei territori. E' il tentativo di ricostruire un insediamento sociale e ci vorrà lo sforzo di una intera generazione. Ci vorrà un sacco di tempo compagni, tanto tempo.

Non vedremo noi i risultati del nostro lavoro. Però questa lunga attraversata nel deserto dobbiamo pur incominciarla, e dobbiamo almeno sapere in quale direzione andare. Se sbagliamo, infatti, nel deserto ci si perde irreparabilmente. L'altro aspetto è quello della diversità. Che abbiamo praticato poco. Vedete, quando io ho scelto di non stare in Parlamento l'ho deciso solitariamente, senza convocare organismi, e l'ho fatto per più di un motivo. Innanzitutto, per mettere fine alla polemica sull'operaio escluso. Però c'era anche un altro aspetto: ancorché meno che in passato – nel 2006 abbiamo perso mezza segreteria nazionale alle elezioni sulle candidature – tuttavia quando c'è la fase delle candidature si scatenano i peggiori istinti, anche dentro i partiti comunisti più “puri e duri”. Io ho fatto una scelta che nelle intenzioni, non so negli esiti, era anche e soprattutto pedagogica: se può stare fuori dalle istituzioni il segretario nazionale del partito, può stare chiunque fuori dalle istituzioni. Ne sono convinto: si può fare politica anche fuori dal Parlamento. La diversità riguarda tuttavia anche un altro aspetto. Siccome andiamo incontro ad una fase di grande ristrettezza economica, non vi saranno più i soldi che entravano dai gruppi parlamentari e dai parlamentari medesimi - una bella cifra vi assicuro – e dunque dovremmo chiedere a tutti i compagni e le compagne che sono rimasti nelle istituzioni, a tutti i livelli, di darsi una regolata diversa da quella che fin qui è stata tenuta. Ovvero di autogestione dei propri emolumenti. Con delle regole che decideremo tutti insieme, non saranno regole imposte, ma regole che una volta prese dovranno valere per tutti.

Per attuare tutte queste cose è evidentemente necessario un congresso, perché cambia la strategia. Perché mettiamo a disposizione di questo processo il partito. E il congresso io credo che lo dobbiamo fare subito. Propongo perciò che si svolga parallelamente a quello di Rifondazione comunista, cioè entro l'estate. Attueremo così una interlocuzione, ma al contempo incalzeremo Rifondazione. E quindi propongo che venga convocato il Comitato centrale entro 15 giorni affinché quell’organismo indìca il congresso. Lì discuteremo di come impostarlo e le regole. Sono per dare una accelerazione.

Quello che vi propongo è difficilissimo. Estenuante. Dagli esiti tutt’altro che scontati. E' un percorso che ho definito “la traversata del deserto”. Ma può anche essere entusiasmante, riaccendere passioni, avvicinare giovani generazioni. Voglio tuttavia dirvi che, qualunque sarà il mio ruolo, voglio provarci con assoluta determinazione. Perché io mi sento certamente sconfitto. Ma non mi sono arreso.

Dall’Appello ai Comunisti al “Che Fare”

di Marco Rizzo
su La Rinascita della sinistra del 1/5/08

L’unica nota positiva dopo il disastro dell’Arcobaleno è l’importante appello per l’unità dei comunisti. E’ positivo perché va incontro all’esigenza di un confronto rapido e necessariamente pubblico tra le realtà della sinistra anticapitalista in Italia. L’appello sarà ancor più efficace se invece di ripiegarsi su una pura sacrosanta ricerca di identità cercherà di costruire una controtendenza organizzata e coerente, senza sottrarsi in alcun modo a rivedere le contraddizioni accumulate e non risolte in questi ultimi vent’anni.

Partiamo da una semplice domanda: perché i lavoratori e gli strati più deboli della popolazione non votano più a sinistra? Addirittura sempre più spesso si sono sentiti di dare alla destra questa loro rappresentanza.

Alla fine degli anni ’60 gli operai arrabbiati per una sinistra forte ma tiepida verso di loro e per un sindacato presente ma non sufficientemente battagliero obbligarono entrambi a diventare decisamente più combattivi. Arrivò infatti la stagione dell”autunno caldo” e del “potere operaio”.

Oggi invece tra la “nostra gente” l’amarezza è tale che interi settori di proletariato si sentono “perduti” e si aggrappano non a possibili soluzioni del loro profondo e crescente disagio economico, ma a disvalori e stili di vita che li “consolano” artificialmente: identità territoriale, sicurezza, demonizzazione del diverso.

In questi ultimi due anni di governo Prodi questo processo si è moltiplicato indefinitivamente, deteminando poi le premesse del disastro. Mentre gli altri lavoratori, i precari, i pacifisti, i giovani di Genova, le popolazioni della Val di Susa e di Vicenza si sono sentiti traditi ed abbandonati.

Eppure di segnali ne erano arrivati! I fischi indirizzati ai sindacalisti alla Fiat Mirafiori erano infatti il sintomo di una classe operaia che non si sentiva più rappresentatala da una sinistra che “tanto diceva e che nulla faceva”. Nel migliore dei casi erano “strilli” sulle agenzie stampa subito sedati dalle “rassicuranti” interviste in cui si ricordava che “mai si farà cadere il governo”.

Ricordate quel 9 giugno dell’anno scorso, quando i quartieri generali della “sinistra radicale”si ritrovarono a Roma in una Piazza del Popolo deserta, soli mentre il loro popolo, in oltre centomila persone, aveva giustamente scelto di manifestare contro Bush, al di là delle indicazioni di un ceto politico poco credibile e subalterno alle compatibilità del “governismo”?

E poi ancora l’ultimo grande segnale dato dalla manifestazione del 20 ottobre: un milione in piazza per chiedere ai due partiti comunisti al governo di dimostrare la loro identità, commisurandola alla loro “utilità sociale” nella battaglia contro il pessimo protocollo su pensioni e welfare.

Ed anche lì nessuna comprensione di cosa stava accadendo, poi ancora la miopia sull’abolizione della “falce e martello” ed infine è arrivato lo tzunami.

Ora si riparte da quell’appello unitario, ma, per favore, non facciamo più errori!

Lo spazio è breve, ma alcune verità si possono ricordare in poche righe: siamo stati vittime del “voto utile”? In parte certo, anche perché notandosi poco la differenza tra PD e Arcobaleno, molti hanno votato l’originale (tanto più con premio di maggioranza) e non la fotocopia. Però anche l’UDC era minacciata dal voto utile e invece ha preso addirittura più voti. E allora? Certo molti altri compagni non hanno votato o hanno scelto il PCL o Sinistra Critica, ma appunto quando si perde in tutte le direzioni il problema sta nella totale assenza di credibilità sia del progetto che dei gruppi dirigenti che lo hanno “coltivato”.

Per evitare quindi ulteriori fughe verso un vicolo definitivamente “cieco”, ricordiamo con “buon senso” che l’Arcobaleno non era l’unica scelta possibile e mettiamo davvero in campo tutte le nostre energie per ripartire con una opzione realmente anticapitalista contro l’americanizzazione della politica, riconoscendo quindi la necessità di essere totalmente alternativi al PD.

L’Unità dei Comunisti poi si potrà fare ma senza steccati, facendo tutti un passo indietro e attivando da subito una severa riflessione sui progetti, sulle culture e sui comportamenti dei gruppi dirigenti che hanno partorito questo disastro, che arriva purtroppo da lontano.