lunedì 12 maggio 2008

Direttivo della Cgil - 7 maggio 2008

Documento presentato da Giorgio Cremaschi e Dino Greco

La scelta di far precipitare sulla Cgil un documento rigido e immodificabile, se non al tavolo delle trattative con la controparte, chiedendo nella sostanza l’ennesimo voto di fiducia al segretario generale su di esso, è un atto di chiusura autoritaria che più di ogni altra cosa rappresenta la crisi di questa organizzazione.La Cgil non ha mai discusso di contrattazione, di contratti nazionali, di contratti aziendali, di modello contrattuale. Questo direttivo non ha mai fatto una discussione che davvero affrontasse il mestiere del sindacato in questi anni. All’improvviso si presenta l’organizzazione di fronte al fatto compiuto. Il documento delle segreterie unitarie è contemporaneamente ambiguo e pericoloso, si apre il negoziato nella condizione peggiore, in un quadro confuso, privo di riferimenti contrattuali, politici e culturali, sotto l’attacco della Confindustria. Con il rischio concreto che si concluda solo con un accordo a perdere.Il difetto di partenza che ha portato a questo passaggio profondamente negativo, è che non si è mai voluto analizzare l’andamento reale della contrattazione, fare un bilancio della concertazione. Bilancio che è profondamente negativo. Sono stati i grandi mezzi di comunicazione di massa a dirci che in Italia c’era una catastrofe salariale e che dovevamo fare qualcosa. Senonché quello che si fa va nella direzione opposta dell’aumento del salario e della solidarietà sociale.La catastrofe dei salari viene da lontano, dall’eliminazione traumatica della scala mobile, che serviva proprio a garantire una quota di salario certo ai più deboli, a tutte e a tutti coloro che non riuscivano a rinnovare in tempo utile contratti nazionali o aziendali. In aggiunta, con l’accordo del ’93, si è poi posto un tetto agli aumenti dei contratti nazionali, mettendoli così sempre un passo indietro rispetto alla tenuta del potere d’acquisto dei lavoratori. E’ bene ricordare che i due accordi separati del contratto dei metalmeccanici ci sono stati proprio di fronte al tentativo della Fiom di superare i tetti del ’93 e di rivendicare nel contratto nazionale una quota di produttività.Ora, invece che correggere gli aspetti negativi del 23 luglio, con il documento Cgil-Cisl-Uil li si accentua. I soldi non hanno tenuto il passo con l’inflazione e con i profitti non perché c’era troppo contratto nazionale, ma perché ce ne era troppo poco. Perché il contratto nazionale non aveva più in basso il sostegno della scala mobile, mentre subiva in alto la costrizione della gabbia della concertazione. Ora, invece che togliere la gabbia si vuol togliere il contratto nazionale, o almeno ridimensionarlo. Si dirà che nessuno vuole cancellare il contratto nazionale, esattamente come così si diceva quando è cominciato il processo di smantellamento della scala mobile. Purtroppo la logica è la stessa di allora.Se ci sediamo al tavolo accettando un’impostazione che dice che per guadagnare di più bisogna dare più produttività e questa la si deve recuperare in azienda, è inevitabile che si finisca per ridimensionare il già tenue ruolo del contratto nazionale a favore non della contrattazione aziendale, ma del salario individuale. Se poi si pensa che la contrattazione territoriale possa aumentare salari e poteri, coprendo i buchi vecchi e nuovi del contratto nazionale, allora le esperienze del contratto dei lavoratori agricoli e degli artigiani ci dicono che è vero esattamente il contrario e che la contrattazione territoriale verrà istituita solo se porterà alle gabbie salariali.Purtroppo c’è una coerenza in queste scelte, che nasce dalle decisioni sbagliate di questi anni. E’ per questo che sarebbe stato necessario confrontarsi tra ipotesi alternative. Che qui sintetizziamo in tre punti:1. la garanzia di un recupero salariale certo per una quota di salario di fronte all’inflazione,2. la liberazione dei contratti nazionali da ogni vincolo, facendo di essi lo strumento fondamentale per l’aumento delle retribuzioni reali, come deciso nel congresso,3. la liberazione della contrattazione aziendale dal vincolo esclusivo del rapporto con la produttività e la redditività, rilanciando davvero il confronto sull’organizzazione del lavoro, la professionalità, la salute e la sicurezza con una diffusa campagna di contrattazione articolata.La Cgil doveva compiere queste altre scelte se voleva uscire dall’angolo, ma non è questa la cosa più grave. Il fatto più grave è che queste scelte, che sono parte della cultura fondante dell’organizzazione, sono state semplicemente stralciate dal confronto. Si doveva avere il coraggio di presentare due ipotesi, quella del ridimensionamento e quella del rafforzamento del contratto nazionale, alla consultazione degli iscritti e dei lavoratori e magari chiedere proposte, modifiche, aggiunte. Si doveva costruire il confronto sul modello contrattuale esercitando la partecipazione. Avremmo bisogno di più democrazia e più partecipazione anche solo per realizzare gli obiettivi del documento Cgil-Cisl-Uil, e invece operiamo con metodi autoritari.Per queste ragioni non condividiamo il documento qui presentato e riteniamo necessario che nei luoghi di lavoro si svolga una consultazione vera e non un’informazione, con voto segreto già sulla piattaforma e che sia possibile aprire nella consultazione una dialettica fra posizioni diverse.

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