giovedì 1 maggio 2008

Ripartire da noi comunisti

Relazione di Diliberto alla Direzione del Pdci del 18 aprile 2008
su La Rinascita della sinistra del 24/04/08

Voglio iniziare senza ipocrisie. Quando c'è una sconfitta e quando c'è una sconfitta di queste proporzioni trovo assolutamente necessario che colui che ha guidato il partito, il sottoscritto, chieda al gruppo dirigente fondamentale, cioè la Direzione del partito, se ritiene utile che io continui a fare il segretario

Lo dico nel modo più diretto possibile perché è giusto che sia così. In un momento del genere vi assicuro che tirare la carretta è complicato. E credo di avere dimostrato, anche alla vigilia di questa campagna elettorale, di essere - forse tra i non molti - sicuramente non attaccato alla poltrona, visto che avevo deciso di lasciare il Parlamento. Per cui con assoluta serenità e laicità nella discussione, se ci sarà un giudizio negativo da parte dei compagni su quello che io dirò, su quello che abbiamo fatto e su quello che faremo, la proposta politica insomma – che alla fine ovviamente voteremo – , posso garantire sin d'ora, e sapete che è la verità, che io continuerò a fare semplicemente, e con immutato orgoglio il militante di questo partito e nulla di più. Se invece i compagni riterranno utile che io continui a svolgere il ruolo di segretario, lo farò, e lo farò con rinnovata passione, anche se, come è del tutto evidente, in una situazione molto più complicata di prima. C'è però una cosa che io mi chiedo e chiedo a tutti, qualunque sia la scelta: il rispetto delle persone, che viene prima della politica. Anche la critica politica, la più feroce, deve tener conto del rispetto tra i compagni, senza il quale è la barbarie. E purtroppo abbiamo assistito, in questi ultimi periodi, da parte di alcuni, ad una preoccupante degenerazione in tal senso. Piccoli, isolati, marginali episodi. Ma che vanno stroncati prima che la degenerazione si diffonda.

L'esito di queste elezioni come è chiaro a tutti è disastroso. E' disastroso complessivamente, al di là della sinistra. E' disastroso perché il Parlamento che è stato eletto è il più a destra della storia della Repubblica italiana. Berlusconi ha la più grande maggioranza da quando è sceso in politica - altro che pareggio, ha 40 senatori in più. La Lega è vertiginosamente aumentata - sembrava finita - anzi sta sfondando anche nelle regioni ex, molto ex, “rosse”. Il Partito democratico non è aumentato affatto rispetto alle sue previsioni, è al di sotto della soglia del 35% che era stata prefigurata come la soglia di una accettabile, ancorché modesta, vittoria. La sua vocazione sarebbe dovuta essere quella di contendere i voti ai moderati, invece non ne ha preso neanche uno. Il risultato delle scelte di Veltroni è che Berlusconi governerà 5 anni - questa è la previsione più facile - e rischia – drammaticamente - di governare anche dopo, se non si inverte la rotta. C'è una sola cosa che è riuscita al Partito democratico ed è stata “schiantare la sinistra”. Certo, anche per colpa della sinistra medesima (come dirò tra breve), ma la campagna mediatica micidiale sul voto utile, sulla bipolarizzazione “Berlusconi contro Veltroni”, Berlusconi che invitava a votare per sé o altrimenti per Veltroni e viceversa, la logica di un bipartitismo sempre più americanizzato che prevede l'alternanza tra simili e non una vera e propria alternanza come c'è in paesi anche europei, tutto ciò ha portato a ché gran parte dei voti della sinistra – sono quantificati dai flussi intorno al 55% - siano stati sottratti alla lista della Sinistra Arcobaleno per andare verso il Partito democratico.

Tuttavia la disfatta della sinistra, evidentemente, non può essere spiegata solo con questa pur importantissima circostanza. Perché io credo che ci siano stati un combinato disposto di diversi fattori. Il primo è l'astensione di sinistra: la delusione della pratica del Governo Prodi, 2 anni di aspettative eluse che hanno portato ceti popolari e lavoratori a non andare a votare. Penso alla grande manifestazione di ottobre e al fato che dopo è bastato Dini a renderci del tutto ininfluenti. Poi c'è stato il fenomeno dell'aumento di Di Pietro, secondo me corroborato da voti di sinistra. Gente che non voleva votare Partito democratico ma voleva concorrere alla vittoria possibile, potenziale, contro Berlusconi, gente che ha votato la coalizione di Veltroni. ma votando per Di Pietro. Ancora una volta, dunque, voto utile. Poi, ancora, c'è la faccenda clamorosa del simbolo. Aver voluto, pervicacemente e scelleratamente, togliere il simbolo più forte, più riconoscibile, più tradizionale, cioè la falce e il martello è stato un errore micidiale. Non certo di questo partito. Ad un giornalista che nei giorni scorsi mi ha detto «ma non è anacronistico insistere con il simbolo?», io ho risposto «guardate che 2 anni fa, mica un secolo fa, nel 2006, in Italia le due falce e martello presenti hanno preso 3 milioni e 800mila voti. L'Arcobaleno ne ha preso 1 milione e mezzo, quindi evidentemente è anacronistico l'Arcobaleno, non la falce e martello». Noi abbiamo cercato – come i compagni sanno – di spiegarlo disperatamente ai nostri alleati, ma in quella coalizione, ormai largamente defunta, perché sono stati gli italiani a stabilirlo, c'era un'egemonia culturale sostanzialmente a-comunista.

A tutto questo si deve aggiungere che non ci ha giovato la presenza di alcuni dei nostri alleati e che è stata sbagliata la campagna elettorale da parte del candidato leader. Non apparteniamo alla schiera degli sciacalli che si accaniscono contro chi ha perso: anzi, ringraziamo Bertinotti per essersi speso in campagna elettorale. La critica è tutta e solo politica. Noi siamo stati, infatti, gli unici che nelle settimane prima del voto hanno attaccato il Pd. Ma siamo stati totalmente oscurati durante la campagna elettorale. Al contrario c'è stato un assoluto predominio da parte di Bertinotti che da parte sua non diceva nulla contro il Pd, quasi come prefigurasse un patto successivo. Errori che si sono susseguiti l'uno all'altro sino ad alcuni clamorosi infortuni che certo non hanno aiutato, non hanno spronato i comunisti ad andare a votare: l'ultimo dei quali a tre giorni dal voto dichiarare che il comunismo sarebbe rimasto una “tendenza culturale” nel nuovo soggetto.

Detto tutto questo, ognuna di queste concause ha contribuito, tuttavia avverto un problema di fondo: è venuto meno l'insediamento sociale della sinistra. Se di colpo si possono spostare milioni di voti da una parte all'altra, vuol dire che quei voti erano semplici voti di opinione. Per carità i voti di opinione sono sempre esistiti e il Pci largamente ne fruiva, ma c'era in quel caso, anche e largamente, una base sociale di insediamento forte che garantiva un radicamento indipendente dall'opinione, che naturalmente poteva cambiare, aumentare e spostarsi. Insomma c'era un radicamento che oggi non c'è più. E appunto oggi occorre proprio ripartire dal radicamento e dall'insediamento sociale.

Rispetto a tutto ciò una domanda viene spontanea: si sarebbe potuto fare diversamente? Sarebbe stato meglio, o meno peggio, scegliere di andare da soli? Questa è la domanda a cui dobbiamo rispondere. Dove siamo andati da soli, nelle comunali, non è andata bene. E se in luoghi dove noi abbiamo un insediamento vero, prendiamo il due per cento, nazionalmente quanto avremmo preso? La controprova su quanto avremmo potuto prendere se fossimo andati da soli alle politiche non ci sarà mai, ma alcuni elementi per ragionare ci sono. Il rischio quale sarebbe stato? Temo che avremmo avuto un consenso del tutto residuale come è capitato allo Sdi, cioè sotto all'uno per cento. Un disastro. Saremo stati vittime del doppio voto utile, verso il Pd e verso l'Arcobaleno. E se, avendo fatto la scelta di andare da soli, fossimo qui a commentare un dato del genere, allora sì che non ci resterebbe che la consegna al tribunale fallimentare dei libri contabili di questo partito. Credo di non aver sottovalutato affatto la disfatta, né di aver sottovalutato gli errori, ma nella disfatta noi oggi possiamo riprovare a ripartire, gli altri forse no.

Il nostro Partito complessivamente rispetto agli altri partner dell'alleanza è quello che ne esce meglio. Tutti i commentatori dicono che il Pdci tiene. Ed è vero. Ora però proviamo a ricominciare. La voglio dire con un titolo: “un nuovo inizio”. Ma voglio essere sincero, sarà una lunghissima traversata nel deserto. Una difficilissima traversata nel deserto. L'Arcobaleno è finito, è del tutto evidente. Quel che resta? Una bizzarra riunione promossa a Firenze dal professor Ginsborg, orfano del professor Pardi, che in cambio di un seggio in Parlamento ha mollato tutti, dai girotondi a Grillo... Tutti. A dimostrazione che la società civile può essere di gran lunga peggio della società politica. L'Arcobaleno non c'è più: i Verdi veleggiano verso il Pd, o ne rimane una piccola enclave autonoma, che probabilmente sta cercando collocazione in un nuovo soggetto che però non c'è nel panorama politico e rischia di non esserci neppure in futuro; Sinistra democratica si è liquefatta, Alfiero Grandi ha dichiarato che guardano ad una nuova alleanza con i socialisti residui, che come noto hanno preso lo 0,9 per cento e con la sinistra del Partito democratico; Rifondazione è nella estrema difficoltà e lacerazione che tutti quanti stiamo vedendo.

Ed allora che fare? E’ apparso ieri su molti giornali un appello – rivolto anche a noi Pdci – di pezzi di movimenti di lotta, i NoTav, i No dal Molin, il comitato sardo “Gettiamo le basi”, quelli contro il ponte di Messina, pezzi di movimenti veri, rappresentanze di luoghi dei lavoro e illustri esponenti dell’intellettualità comunista. Questo appello chiede che per ricostruire la sinistra si inizi da noi comunisti. Rivolge l'appello a noi, a Rifondazione e a tutti i comunisti e le comuniste, comunque collocati in Italia. Ma chiede innanzitutto l'unità fra i due partiti comunisti, ossia fra le due cose che ci sono. Quello che è rimasto in campo dopo lo tsunami. Noi e loro, e tutto l'arcipelago variegato di compagni e compagne che magari hanno lasciato il Pdci e Rifondazione o che non ci sono mai stati e che comunque si riconoscono in un progetto di trasformazione della società in senso socialista. In parole semplici, si chiede l'unità di quello che è rimasto della sinistra. Bene, a questo nuovo inizio, e cioè concorrere, mettere a disposizione il Pdci, per un progetto più grande di costruzione di un Partito comunista in Italia, a questo appello noi, la segreteria del Partito ha risposto di sì. Ora attenderemo la risposta di Rifondazione comunista.

Ma sul Prc vorrei spendere qualche parola. Il disastro viene da lontano: nel 1996, dodici anni fa, non un secolo, Rifondazione aveva l'8,6 per cento dei voti, e nel primo anno di governo Prodi i sondaggi le attribuivano percentuali tutte al di sopra delle due cifre. Chi c'era si ricorda. Successivamente, il gruppo dirigente di Rifondazione decide di far cadere Prodi, immaginando una fuoriuscita da sinistra, le trentacinque ore..., cade Prodi, c'è la nostra scissione, e nell'99 Rifondazione prende il 4% alle europee e noi il 2 per cento. Si sono persi, anche solo considerando i consensi presi due anni prima, il 2,5% di voti. Uomini e donne che non sono venuti né da noi, né da loro. Poi nel 2001 il Prc non fa l'accordo con il centrosinistra, consegnando a Berlusconi di nuovo il governo – se al Senato ci fosse stato l'accordo si pareggiava – infine nel 2006 pur partendo da una posizione che sino a pochi anni prima diceva «per me centrodestra e centrosinistra pari sono», il Prc sigla l'accordo più “unitario” e arrendevole, Bertinotti va a fare il presidente della Camera, una scelta istituzionale che riduce gli spazzi di battaglia politica anche dentro il Parlamento, e nel 2008, infine, siamo in questa condizione. Beh io credo che noi dovremmo provare a ritornare al '96. Non ci riusciremo in toto, sia ben chiaro, però proviamo a ripartire da lì. Da qualche parte, infatti, il bandolo dobbiamo provare a riprenderlo. L'Appello è rivolto a noi, a tutti i compagni e le compagne di Rifondazione comunista, a tutti. Non è un appello rivolto semplicemente alle minoranze del Prc. Anche se non si può escludere che alla fine lo raccolgano solo le minoranze stesse, e tuttavia la discussione interna a Rifondazione non è ininfluente rispetto a questo progetto. Anzi. Ho l'impressione nettissima che sia in atto, tanto più dopo questo risultato, una operazione politica che mira ad aggregare una sorta di forza cuscinetto, chiamiamola così di “sinistra buona”, magari guidata da Vendola, come auspica Francesco Merlo su La Repubblica, dove possano confluire i reduci dell'Arcobaleno che non vogliono il progetto comunista. Ho l’impressione che Bertinotti stia lavorando a questo. A noi non ci vogliono. Questo agglomerato cuscinetto, come io lo ho definito, nel breve periodo andrà a fare la sinistra del Pd. Cosa resta? Restiamo noi. Noi e coloro che dentro Rifondazione rifiuteranno questa deriva, più tanti che fuori dai due partiti esistenti ancora si sentono comunisti. Vedremo il dibattito che si svolgerà entro al Prc, però spero solo una cosa, che la scelta che faranno sia non equivoca. E cioè che non ci sia ancora una scelta in mezzo al guado. Sarà il congresso naturalmente a sciogliere questo eventuale equivoco, tuttavia dentro Rifondazione ci sono forze sicuramente disponibili e noi dobbiamo con chi ci sta provare a ricominciare. Ovviamente, ripeto, rivolgendoci potenzialmente a tutti.

Giusto a questo punto domandarsi con che caratteristiche dovrebbe nascere questo nuovo soggetto. Intanto fuori dal Parlamento. Non è una scelta, non abbiamo deciso di diventare un partito extra parlamentare, ci hanno cacciato dal parlamento gli elettori con il loro voto e Veltroni che non ha voluto l'apparentamento. Questa nostra non è quindi una vocazione extraparlamentare, come è evidente: è una condizione. Io non sono di quelli che pensano che anche la sconfitta può avere lati buoni, una sconfitta è una sconfitta, tuttavia proviamo dalla sconfitta a trarre qualche insegnamento e ripartiamo dall'opposizione. Ripartiamo dal conflitto sociale. Ho programmato per questa settimana due incontri con i lavoratori nelle fabbriche, uno a Bari e uno a Milano alla Magneti Marelli. Dobbiamo ricominciare da li, e dobbiamo dislocare i dirigenti di partito nei territori. E' il tentativo di ricostruire un insediamento sociale e ci vorrà lo sforzo di una intera generazione. Ci vorrà un sacco di tempo compagni, tanto tempo.

Non vedremo noi i risultati del nostro lavoro. Però questa lunga attraversata nel deserto dobbiamo pur incominciarla, e dobbiamo almeno sapere in quale direzione andare. Se sbagliamo, infatti, nel deserto ci si perde irreparabilmente. L'altro aspetto è quello della diversità. Che abbiamo praticato poco. Vedete, quando io ho scelto di non stare in Parlamento l'ho deciso solitariamente, senza convocare organismi, e l'ho fatto per più di un motivo. Innanzitutto, per mettere fine alla polemica sull'operaio escluso. Però c'era anche un altro aspetto: ancorché meno che in passato – nel 2006 abbiamo perso mezza segreteria nazionale alle elezioni sulle candidature – tuttavia quando c'è la fase delle candidature si scatenano i peggiori istinti, anche dentro i partiti comunisti più “puri e duri”. Io ho fatto una scelta che nelle intenzioni, non so negli esiti, era anche e soprattutto pedagogica: se può stare fuori dalle istituzioni il segretario nazionale del partito, può stare chiunque fuori dalle istituzioni. Ne sono convinto: si può fare politica anche fuori dal Parlamento. La diversità riguarda tuttavia anche un altro aspetto. Siccome andiamo incontro ad una fase di grande ristrettezza economica, non vi saranno più i soldi che entravano dai gruppi parlamentari e dai parlamentari medesimi - una bella cifra vi assicuro – e dunque dovremmo chiedere a tutti i compagni e le compagne che sono rimasti nelle istituzioni, a tutti i livelli, di darsi una regolata diversa da quella che fin qui è stata tenuta. Ovvero di autogestione dei propri emolumenti. Con delle regole che decideremo tutti insieme, non saranno regole imposte, ma regole che una volta prese dovranno valere per tutti.

Per attuare tutte queste cose è evidentemente necessario un congresso, perché cambia la strategia. Perché mettiamo a disposizione di questo processo il partito. E il congresso io credo che lo dobbiamo fare subito. Propongo perciò che si svolga parallelamente a quello di Rifondazione comunista, cioè entro l'estate. Attueremo così una interlocuzione, ma al contempo incalzeremo Rifondazione. E quindi propongo che venga convocato il Comitato centrale entro 15 giorni affinché quell’organismo indìca il congresso. Lì discuteremo di come impostarlo e le regole. Sono per dare una accelerazione.

Quello che vi propongo è difficilissimo. Estenuante. Dagli esiti tutt’altro che scontati. E' un percorso che ho definito “la traversata del deserto”. Ma può anche essere entusiasmante, riaccendere passioni, avvicinare giovani generazioni. Voglio tuttavia dirvi che, qualunque sarà il mio ruolo, voglio provarci con assoluta determinazione. Perché io mi sento certamente sconfitto. Ma non mi sono arreso.

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