sabato 3 maggio 2008

Lavorare di più, contrattare in azienda

di Sara Farolfi
su Il Manifesto del 01/05/2008

È pronto il testo sulla riforma del modello contrattuale. Segreterie unitarie di Cgil, Cisl e Uil la prossima settimana. Il contratto nazionale viene ridotto al «minimo», e gli aumenti salariali saranno da contrattare in azienda. Mentre Berlusconi prepara la detassazione secca degli straordinari
I sindacati accelerano sulla riforma del modello contrattuale. I tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil hanno definito e completato il testo comune che sarà alla base della discussione con Confindustria, oggi dovrebbero annunciarlo e già per l'inizio della settimana prossima sono previste le segreterie unitarie delle tre confederazioni. Guglielmo Epifani, alle prese con il dissenso interno della categoria dei metalmeccanici e delle aree programmatiche Lavoro e società e Rete 28 Aprile, ha scelto la strada dell'accelerazione. Su una materia, la contrattazione, che costituisce l'essenza stessa del sindacato. Il cambiamento è poderoso e deciderà delle politiche salariali (e non solo) per almeno il prossimo decennio. Con gli accordi del luglio 1993, le politiche contrattuali furono informate al principio della stabilità monetaria e al contenimento dell'inflazione. Allora l'obiettivo era l'ingresso in Europa, il pegno da pagare (dai soliti noti, naturalmente) fu quella moderazione salariale che ha portato i salari italiani ai livelli più bassi di tutta Europa. Oggi l'obiettivo è, accanto al miglioramento delle condizioni di reddito, «la competitività e produttività del nostro sistema imprenditoriale». Al contratto nazionale resta la difesa del potere d'acquisto, gli aumenti salariali saranno da contrattare in azienda (legati ai parametri della produttività, qualità, redditività, efficienza e efficacia). Ma la contrattazione di secondo livello, come hanno mostrato diverse ricerche (ultima quella del Censis), interessa una fetta piccola del sistema imprenditoriale. Di contrattazione territoriale - a cui oggi si richiamano i sindacati con le parole, Rsu in tutti i posti di lavoro - si parlava già nel '93 e, salvo pochi settori, del tutto inutilmente (del resto Emma Marcegaglia ha già parlato chiaro: per noi non esiste). Nella gran parte delle imprese italiane, che sono sotto i 10 dipendenti, non c'è neppure il sindacato. A questo si aggiunga l'offensiva berlusconiana che porterà sul tavolo del primo consiglio dei ministri la detassazione secca degli straordinari e di tutte le voci del salario variabile (premi e incentivi). Ossia l'allungamento di fatto dell'orario di lavoro ( per guadagnare di più bisogna lavorare di più ), che nelle intenzioni del nuovo governo non avrà alcun riferimento alla contrattazione aziendale. Puntando in questo modo al pieno dispiegarsi del rapporto individuale tra azienda e lavoratore. Il nuovo modello contrattuale I contratti (pubblici e privati), oggi divisi in un quadriennio normativo e due bienni economici, saranno triennalizzati. La difesa del potere d'acquisto viene ancorata al concetto di «inflazione realisticamente prevedibile». Nel '93 si chiamava «inflazione programmata», e il risultato (complice anche il costante ritardo nei rinnovi dei contratti nazionali) è sotto gli occhi di tutti. Per misurare l'inflazione, i sindacati pensano all'indice europeo (a cui andrebbe aggiunta la spesa per i mutui), oppure al deflattore nazionale dei consumi interni: la cosa sarà comunque oggetto della trattativa con le imprese (che non sembrano per la verità molto disponibili). Viene corretto anche quel passaggio del testo - da molti letto come un'apertura alla possibilità di deroghe - in cui si dice che «i contratti nazionali dovranno prevedere, in termini di alterità, la sede aziendale o territoriale». Gli aumenti salariali saranno relegati alla contrattazione di secondo livello - aziendale e territoriale (regionale, di filiera, comparto, distretto e sito). Per tutti i lavoratori scoperti, verrà definita a livello nazionale una sorta di «indennità di perequazione», come nell'ultimo contratto dei metalmeccanici. Decisive, vengono considerate in casa Cgil, le linee guida su democrazia e rappresentanza. I sindacati puntano sulla certificazione, e dunque sulla certezza, della rappresentanza. Il luogo deputato sarà il Cnel e la certificazione delle iscrizioni sarà fatta mediante l'Inps. Il modello somiglia a quello del pubblico impiego, anche se l'accordo sarà per via pattizia (tra le parti) e non per via legislativa. Per misurare la rappresentatività (quali organizzazioni sindacali siano ammesse alla contrattazione collettiva) sarà utilizzato un indice, che terrà conto del numero di iscritti, dei voti presi nelle elezioni delle Rsu e di quelli nei comitati di sorveglianza degli enti previdenziali. Nel testo siglato tra Epifani, Bonanni e Angeletti la soglia (che nel pubblico impiego è fissata al 5%) dovrebbe essere lasciata alla decisione delle singole categorie. Anche per l'approvazione degli accordi, sarà preservata l'autonomia delle categorie. Per gli accordi interconfederali il procedimento sarà invece quello seguito con il protocollo sul welfare: le segreterie unitarie sottoporranno l'ipotesi di accordo al voto dei direttivi unitari, i contenuti dell'accordo verranno illustrati ai lavoratori, e nella fase finale sottoposti a «consultazione certificata». Sembra invece finita in nulla la richiesta della Uil di una forma di validazione specifica anche per la proclamazione di scioperi. L'era berlusconiana Cgil, Cisl e Uil puntano ad arrivare al primo incontro con il governo con il testo condiviso. La contrattazione di secondo livello, chiedono, dovrebbe essere incentivata anche mediante sgravi contributivi (a cui si è dato corso con il protocollo sul pensioni e welfare). Berlusconi punta tutto per ora sulla detassazione degli straordinari e delle una tantum. Punta cioè, e non ne fa mistero, al rapporto individuale tra lavoratrice o lavoratore e datore di lavoro. La Cgil si è detta contraria a tali misure, ma il combinato disposto tra la riforma del modello contrattuale e le politiche berlusconiane lasceranno il segno. Sarà così possibile per i padroni aumentari i salari dei dipendenti, senza dovere ricorrere al contratto integrativo (imprenditori alla Della Valle o alla Riello ne saranno felici). E sarà persino possibile (lo ha notato anche Ichino) una nuova forma di evasione fiscale: per sottrarre ogni aumento retributivo all'aliquota Irpef, sarebbe sufficiente farlo passare come straordinario.

Nessun commento: