sabato 24 maggio 2008

RICOSTRUIRE LE FORZE COMUNISTE PER SOLLECITARE NUOVE PASSIONI

di Fosco Giannini
su Il Manifesto del 21/05/2008

Lo scorso 17 aprile il manifesto pubblica un Appello di cento grandi personalità del mondo operaio e intellettuale. Esso indica, tra le cause della nostra drammatica sconfitta, la delusione provocata dal governo Prodi e il fatto che, attraverso la proposta dell’Arcobaleno, siano stati sottratti, al nostro elettorato, gli storici punti di riferimento comunisti e di sinistra. A fronte del disastro, i cento dell’Appello avanzano una proposta: che il Prc e il Pdci tornino ad unirsi in un solo partito comunista, un partito di lotta che si proponga come cuore dell’opposizione a Berlusconi e motore di una nuova unità a sinistra, rispettosa delle varie autonomie (comunisti e forze di sinistra) e ben lontana dalla fallimentare e (letteralmente) immotivata precipitazione organizzativistica dell’Arcobaleno.A tale proposta l’intero gruppo dirigente del Prc (da Giordano a Ferrero) risponde - stizzito - di no. Il gruppo dirigente del Pdci risponde di si, chiarendo che il proprio partito è disponibile ad un processo di riunificazione, per tornare alle origini della rifondazione comunista e offrire un punto di riferimento alla vasta diaspora comunista italiana.Chi scrive è d’accordo con le tesi dell’Appello e rimarca il fatto che il no di Giordano e Ferrero sia stato assunto da diversi interlocutori (non certo dai comunisti “di base”) come scontato e non sia stato per nulla indagato.In verità il no alla proposta di riunificare i due partiti comunisti italiani non è stato adeguatamente motivato e l’unico barlume argomentativo - che ha unito Giordano e Ferrero - è stato quello (molto vago) secondo il quale il Prc avrebbe da tempo assunto un’ “innovazione” alla quale il Pdci sarebbe estraneo.Prendiamo le questioni di petto: un processo di riunificazione dei due partiti comunisti darebbe, se ben condotto, una nuova passione al popolo comunista, oggi disorientato e spinto all’autoliquidazione. Rispetto ad un obiettivo così alto dovremmo davvero ritenere un impedimento le innovazioni del Prc?Occorre, da questo punto di vista, soffermarsi su tali innovazioni. Sarebbe un’innovazione impedente la cancellazione formale, dal corredo teorico del Prc, della categoria di imperialismo? Crediamo di no, per il semplice motivo che essa è stata smentita dai fatti, nel senso che l’imperialismo è oggi più vivo che mai e che anche i dirigenti del Prc - di fronte alla durezza delle guerre imperialiste - tendono a rimuovere la loro precedente tesi.Sarebbe un’innovazione impedente la fragile teorizzazione bertinottiana secondo la quale il ruolo di intellettuale collettivo non dovrebbe essere più assegnato al partito comunista, alla sinistra, ma direttamente allo spontaneismo sociale? Non crediamo: è stato lo stesso Alfonso Gianni, testa pensante del bertinottismo, ad affermare, dopo la sconfitta elettorale e il voto operaio passato alla Lega, che il senso delle masse si è perso e che è ormai tempo che siano i comunisti e la sinistra a ricostruire un senso politico e di massa.Sarebbe un’innovazione impedente l’ormai ingiallita teorizzazione bertinottiana secondo la quale la rottura da parte del Prc con il primo governo Prodi doveva essere una rottura “fondante” della stessa rifondazione comunista? Il nefasto governismo dell’ultimo Prc ha smentito clamorosamente tale teorizzazione e ha posto il problema, per tutti i comunisti, di uscire dal rischio del cretinismo parlamentare e tornare alla testa delle lotte.Sarebbe un’innovazione impedente l’assunzione da parte del Prc della categoria della non violenza? Lo sarebbe se essa si trasformasse in una rinuncia al conflitto e alla trasformazione sociale. Poiché nessuno, nel Prc, interpreta la non violenza in questo senso, la questione appare di lana caprina, poiché non vi è un comunista, nei due partiti italiani, che pensa alla lotta armata e alla presa, lunedì prossimo, del Palazzo d’Inverno.Sarebbe un’innovazione impedente l’affermazione (Bertinotti-Gianni) di qualche tempo fa, secondo la quale “ i grandi pensatori e i rivoluzionari del ’900 sarebbero tutti morti e non solo fisicamente ”? Non crediamo, poiché la sua estemporaneità non le ha permesso di ucciderli davvero, anche nel senso comune dei dirigenti e della base Prc.Qual è il punto vero, dunque, rispetto alla proposta avanzata dai cento dell’Appello, assunta dal gruppo dirigente del Pdci e volta al rilancio - attraverso la riunificazione e la rimessa in campo di una forza di opposizione sociale - di un partito comunista, dai caratteri di massa, in Italia?Ci sembra chiaro: il punto vero è se si vuole o no ricostruire il partito comunista. Se non si vuol farlo lo si dica chiaramente, senza cercare astruse motivazioni. A noi sembra che il rilancio di una forza comunista, anticapitalista, non sia una questione ideologica ma un’esigenza sociale (la guerra segna il nostro tempo e il trasferimento di quote di salario verso il profitto è il più imponente da 50 anni a questa parte). L’esigenza dell’unità dei comunisti trova oggi, per realizzarsi, un terreno favorevole. Chi si sottrae a tale compito vuol dire che pensa a costruire qualcosa d’altro, a rianimare il cadavere dell’Arcobaleno. E se ne assumerà la responsabilità.

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